Ha voluto mandare un messaggio alla città de L’’Aquila in occasione degli otto anni dal terribile terremoto che distrusse praticamente tutta la città: dopo aver tenuto la messa questa notte durante quell’ora maledetta, le 3.32, ora del sisma nel 2009, ha voluto scrivere personalmente a tutti i cittadini. Un messaggio tutt’altro che banale, incentrato sulla voglia di rinascita ma anche sull’avviso importante (sottolineato anche da Papa Francesco di recente a Mirandola, Carpi) di non arrendersi alla “sindrome da terremoto”. «L’Aquila esce rafforzata dalla prova ma occorre mantenere viva, nella popolazione, la fiamma di una ‘fondata speranza», inizia così il messaggio di Monsignor Giuseppe Petrocchi, Arcivescovo di L’Aquila. «Oltre a quelle geologiche – osserva il presule – esistono anche ‘faglie’ psicologiche e sociali: ‘sismiche’ pure esse! A lungo andare, possono generare la ‘sindrome del terremoto». Una incertezza che, come nube tossica, «rischia di avvolgere l’esistenza (individuale e collettiva), rendendola precaria», afferma con veemenza il vescovo aquilano. Ma qui è il passaggio fondamentale, quando Petrocchi afferma che la sofferenza di tutta la città e di tutti i terremotati non è stata vana: «rifluirà, come grazia, sulla città e susciterà nuovi germogli di vita anche altrove». La Chiesa lancia la speranza al popolo de L’Aquila perché per primi i cittadini stessi hanno saputo “superare” la loro paura e ansia: «La nostra gente è stata duramente colpita, ma non è stata sconfitta e testimonia che la vita ha la meglio sulla logica della disfatta e della morte». Non più un buio senza anima ma un’anima cresciuto dentro al buio, grazia L’Aquila.



In un incontro tenuto ieri a L’Aquila ad otto anni dal tremendo terremoto che distrusse il cuore dell’Abruzzo, è intervenuto una personalità internazionale protagonista della ricostruzione di un altro enorme dramma degli ultimi 20 anni, quell’uragano di Katrina che distrusse praticamente tutto a New Orleans. Si chiama Edward James Blakely ed è un professore di Sydney ma soprattutto è stato il Commissario Straordinario per la ricostruzione della città distrutta dall’uragano Katrina fino al 2009 (tra l’altro proprio l’anno del terremoto in L’Aquila). Intervenendo al convegno «Partecipazione e governance: modelli di gestione delle emergenze e strumenti di ricostruzione dei territori», il professore di Urban Planning ha spiegato da dove è possibile ripartire dopo un dramma come quelli di New Orleans o appunto di L’Aquila. «Quando ero commissario giravo in bicicletta nei campi di accoglienza dove era stata spostata la popolazione, per chiedere a tutte le persone che incontravo un parere di cosa potevano avere bisogno o semplicemente come stavano». In quella situazione Blakely ricorda come non vi era affatto bisogno di una “leadership” unica, bensì «è necessario che tutti si sentano protagonisti e leader del proprio futuro». Questo in centro Italia avviene a corrente alternata, ma di certo le cose migliori accadute in questi difficili anni di ricostruzioni sono proprio quelle partite dal basso e dall’iniziativa dei tanti terremotati non abbattuti dalla tragedia della loro vita. Ancora l’ex commissario, «il passato deve essere base di un nuovo futuro ma non la prospettiva, abbiamo cambiato tutto ma lo abbiamo fatto insieme ai cittadini ed è questo a fare la differenza».



Era il 6 aprile del 2009 e un terremoto avvenuto alle ore 3.32 distrusse per sempre il centro storico di L’Aquila. Distrusse la vita di 309 persone e di molte altre tra feriti, parenti vittime e semplici lavoratori in un improvviso buco del terreno che si è portato via la normale vita di ogni giorni. Sono passati 8 anni e quella notte se la ricordano ancora tutti, specie perché poi in questi ultimi mesi ci ha pensato il “fratello” terremoto tra Rieti, Perugia e Macerata a rimettere al centro la gravità dell’emergenza sismica per queste terre e per questo popolo. Con un epicentro vicino a Collefracido, Roio Colle e Genzano, il terremoto aquilano distrusse il cuore del centro Italia con un boato che ancora oggi la popolazione si sogna come incubo notturno; proprio l’avvenimento durante la notte ha reso impossibile scampare a quelle scosse che in pochi secondo si sono portati via tutti. 1600 feriti e 10 miliardi di euro di danni stimati si sono aggiunti a quella tragica strage “naturale” avvenuta 8 anni fa; poi i processi post appalti da record, le “risate” dei costruttori e lo scontro politico tristemente inevitabile. Tutto ha concorso per rendere questi anni di ricostruzione assai complicati, con l’edilizia privata che ha proseguito a buon passo insieme a quella pubblica ma che ad oggi ancora non ha garantito una ripresa economica sufficiente. I numeri riportati dall’Usra (ufficio ricostruzione L’Aquila) sono abbastanza positivi, ma non bastano: «il completamento nel comune dell’Aquila di centro storico e frazioni più importanti, è prevista per il 2020, quella dell’intero territorio comunale nel 2022, nei 56 comuni del cratere entro il 2025». Servono ancora 4,2 miliardi di euro e con le sopraggiunte emergenze sismiche nel Paese non sarà facile sicuramente trovarli in tempi brevi..



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La notte e il buio oltre la scossa di terremoto: pochi simboli, molti elementi concreti in quell’orribile terremoto in centro Italia che ha spazzato via la vita di 309 persone e quella ancora oggi molto difficile di una popolazione intera, dedita alla ricostruzione tra polemiche, “drammi dimenticati” e problemi di natura non solo economica. Il sindaco Massimo Cialente, che in questo giugno vedrà la fine del suo doppio mandato, “saluta” così gli 8 anni passati nella fatica e nel ritmo di ricostruzione non sempre efficace: «Lascio in eredità un progetto di città esaltante. Anche se provo un dolore estremo nel non veder realizzate le scuole, o il masterplan di piazza d’Armi, o a vedere ancora i binari della mai realizzata metropolitana di superficie». Un consiglio viene dato anche ai “fratelli” terremotati di questo 2016-2017 ancora in centro Italia: «Come si fa ad affrontare gli ultimi terremoti senza fare tesoro dei precedenti? Se fossero venuti a vedere all’Aquila come sono state fatte le cose…». Il dolore e la commozione si sono visti anche questa notte proprio alle 3.32, ora X del sisma di 8 anni fa, con una lunga fiaccolata terminata con il rintocco delle campane per 309 volte consecutive. Dolore sì, fatica pure, il ricordo della morte ma anche una “difficile” e paradossale speranza: la illustra così il vescovo de L’Aquila, Monsignor Giuseppe Petrocchi, davanti a migliaia di famiglie colpite da quel terrificante sisma. «La morte non ha l’ultima parola, questo non toglie il dolore ma rende più sereni. Eravamo convinti che il terremoto non sarebbe più venuto e invece ha colpito popolazioni sorelle, persone che conoscevo avendo fatto il parroco in quei paesi cancellati. Ora li ringrazio come ha fatto Papa Francesco per la loro testimonianza». Non sarà ancora facile ripartire, ma questi anni hanno dimostrato che la realtà di queste straordinarie persone dignitose e tenaci non è per forza rimasta intrappolata in quel buio tremendo di otto anni fa…

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