Il poliziotto Angelo Cangianiello ha subito la più grande umiliazione per coloro che fanno il suo mestiere: essere arrestato con l’accusa di concorso in traffico di stupefacenti. Cangianiello racconta la sua vicenda a Errorigiudiziari.com, spiegando di essere stato torturato fino a confessare un reato che non aveva commesso. Il poliziotto è finito in carcere e ha dovuto restituire pistola e distintivo. I suoi avvocati Pardo Cellini e Baldassarre Lauria sono però riusciti a dimostrare la sua innocenza e Cangianiello ha ottenuto ciò che voleva dalla sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Roma: : “Quando, già all’inizio del processo, ho sentito che la Procura Generale della Repubblica chiedeva ai giudici di assolvermi per non aver commesso il fatto, ho capito che le cose si stavano mettendo bene. Ma fino all’ultimo quasi non volevo crederci…”. La tragica vicenda inizia nel 1986 a Roma, dove Cangianiello è in servizio presso la Presidenza del Consiglio, ufficio scorte. All’epoca ha solo 24 anni e il 3 marzo viene convocato d’urgenza all’autoparco della Presidenza del Consiglio: gli viene chiesto di restituire tesserino e pistola, poi viene ammanettato. Una volta in Questura gli viene comunicato che il sostituto procuratore di Caserta ha disposto decine di arresti per un’inchiesta sul traffico di stupefacenti. Cangianiello viene trattenuto per quasi 7 ore: “Dalle 11.30 alle 18 vengo tenuto in una stanza con un collega che ancora oggi non riesco a definire tale. Tra una sessione e l’altra di domande da parte del sostituto procuratore, questo poliziotto mi picchiava ripetutamente. Schiaffi sul viso, pugni ai fianchi e allo stomaco.
Mi stringeva i testicoli tra le mani con tutta la forza, urlavo per il dolore, mi veniva da piangere. In quelle condizioni, mi creda, chiunque sarebbe disposto ad autoaccusarsi di qualunque reato”. il poliziotto confessò dopo essere stato “massacrato”: “Ero impaurito, confuso. E non mi era neanche stato concesso un avvocato. Quando arrivò, un civilista individuato da mio padre, si limitò a firmare in fretta il verbale per presa visione senza neanche fare una domanda o accertarsi di come fosse andato l’interrogatorio. E finii nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere”.
Cangianiello trasccorse tre settimane in isolamento e poi restò dentro altri tre mesi, finché gli vennero concessi gli arresti domiciliari. Per l’accusa aveva fatto da intermediario per un acquisto di droga tra un trafficante e due esponenti di una banda, uno dei quali era suo fratello: “Ma quell’inchiesta era piena di buchi: il presunto trafficante era un elettricista che ancora oggi fa l’elettricista, invece di godersi i milionari proventi illeciti nei mari del Sud. E infatti, come i miei avvocati sono riusciti a scoprire, fu assolto con formula piena e con sentenza definitiva già in primo grado”. Per il poliziotto arrivò invece una condanna definitiva a un anno e sei mesi confermata in primo grado. Oggi, ora che questa vicenda può finalmente dirsi conclusa, Cangianiello tira un sospiro di sollievo e pensa ai suoi cari: “Ho una famiglia d’oro, quella che all’epoca era la mia fidanzata è diventata mia moglie e la madre dei miei tre figli: ho aspettato che fossero un po’ grandicelli, per raccontare loro tutta la verità. Ma è stata dura”.