E’ giunta questa mattina la condanna a 25 anni di reclusione a carico di Salvatore Di Grazia, l’uomo accusato di aver ucciso e nascosto il cadavere della moglie 72enne, Mariella Cimò. Contro di lui era scesa in campo la procura etnea chiedendo a gran voce l’ergastolo. La Corte D’Assise, di contro, ha optato per una pena più lieve. Sul caso controverso tornerà questa sera anche la trasmissione Quarto Grado che già in passato, come riporta MeridioNews.it, ha tentato di fare luce sui lati oscuri della vicenda. Uno degli enigmi che ruotano attorno al caso è quello legato al cadavere mai trovato, sebbene sia scomparso dal 25 agosto di sei anni fa. Salvatore Di Grazia denunciò la sparizione solo dopo diversi giorni, il 5 settembre successivo. Da allora ha sempre respinto ogni accusa ed ha invece avanzato con forza la tesi dell’allontanamento volontario della 72enne. Eppure, a smentire l’80enne furono anche le immagini delle telecamere di videosorveglianza installate nei pressi della villetta di San Gregorio. Queste non immortalarono mai la donna mentre entrava o usciva dalla sua abitazione nel giorno della sua scomparsa, né dal retro.
Nella giornata di oggi era attesa la sentenza della Corte d’Assise di Catania a carico di Salvatore Di Grazia, l’uomo 80enne accusato di aver ucciso la moglie Mariella Cimò ed occultato il suo cadavere nell’agosto 2011. Dopo la richiesta della procura che aveva avanzato la pena dell’ergastolo, la Corte si è espressa nei passati minuti condannando l’uomo a 25 anni di reclusione per i reati di omicidio e occultamento di cadavere, come reso noto dall’agenzia di stampa Ansa. Il delitto, per l’accusa, sarebbe maturato per contrasti di natura economica e passionale. Dopo aver ucciso Mariella Cimò, di 72 anni, Di Grazia ne avrebbe occultato i poveri resti. La scomparsa misteriosa della vittima risale esattamente al 25 agosto 2011, mentre la denuncia di sparizione da parte di Salvatore Di Grazia giunse solo il 5 settembre successivo. Il delitto si sarebbe consumato dopo 43 anni di matrimonio, anche se nell’ultimo periodo erano sorti problemi legati alla gestione di un autolavaggio self service di proprietà di Cimò ma gestito dal marito. La donna aveva manifestato l’intenzione di venderlo, nonostante il parere contrario del coniuge che, secondo gli investigatori, utilizzava l’attività come luogo per gli incontri extraconiugali.
Nella giornata di oggi, è attesa la sentenza per Salvatore Di Grazia, l’80enne accusato di aver ucciso la moglie Mariella Cimò e di averne occultato il cadavere. In un giorno così importante, la trasmissione Quarto Grado in onda questa sera ne seguirà tutti gli sviluppi, ripercorrendo le varie tappe dell’intricata vicenda. Come ricorda MeridioNews.it nell’edizione catanese, i fatti risalirebbero al 25 agosto 2011, quando l’allora 72enne Mariella Cimò fece misteriosamente perdere le sue tracce dalla villetta di San Gregorio di Catania nella quale viveva con il marito. La denuncia di scomparsa da parte del coniuge giunse solo il 5 settembre successivo, sollevando i primi dubbi da parte degli inquirenti. Nei mesi scorsi si è svolto il processo a carico di Salvatore Di Grazia e che potrebbe ora concludersi con una sua condanna severissima. Nell’udienza dello scorso settembre, infatti, la procura aveva chiesto la condanna all’ergastolo a carico del presunto assassino di Mariella Cimò, il quale si sarebbe macchiato del terribile reato al culmine di una lite con la moglie e, secondo il pubblico ministero Angelo Busacca, finita nel sangue.
Alla base del delitto di Mariella Cimò, secondo l’accusa, ci sarebbero stati dei dissidi con il marito Salvatore Di Grazia, ora accusato dell’omicidio della 72enne. Gli attriti avrebbero avuto a che fare non solo con questioni di carattere economico ma anche con una storia di presunti tradimenti. Nello specifico, ricorda MeridioNews, dietro le ultime liti tra i due coniugi ci sarebbe stata anche la vicenda della gestione dell’autolavaggio self service, di proprietà di Mariella Cimò e nella quale lavorava il marito Di Grazia. Secondo l’accusa, la vittima avrebbe voluto vendere l’attività commerciale, a differenza del marito. E’ sempre l’accusa a sostenere come la diversa volontà dell’uomo fosse legata al fatto che la struttura gli servisse per “incontri legati a relazioni extraconiugali”. Ed è in questo contesto che si inserisce un quadro fatto di presunti tradimenti che avrebbero coinvolto anche Pina Grasso, donna delle pulizie e finita imputata e condannata ad un anno per favoreggiamento. Per gli inquirenti, la donna avrebbe avuto una relazione con Salvatore Di Grazia e lo avrebbe aiutato a insabbiare le indagini nella primissima fase, dopo la scomparsa di Mariella Cimò.
In merito al delitto di Mariella Cimò, il marito 80enne Salvatore Di Grazia ha sempre sostenuto la sua totale innocenza. A pensarla diversamente è però stata la procura di Catania che ha chiesto a suo carico la condanna all’ergastolo. Nella giornata di oggi scopriremo il destino dell’uomo accusato del delitto e dell’occultamento dei resti della povera moglie. In sua difesa, nell’udienza dello scorso settembre aveva preso la parola l’avvocato Paola Paladina, uno dei suoi difensori di fiducia, e che ne aveva chiesto l’assoluzione. Il legale, come ricorda La Sicilia nella sua edizione online, aveva insistito sull’inconsistenza delle prove a carico del suo assistito ed in sua difesa aveva parlato anche di un’automobile sospetta che girava nei pressi della villetta dalla quale era scomparsa Mirella Cimò. Sempre secondo la difesa dell’imputato, le indagini non avrebbero mai preso in esame questo elemento sospetto. Al termine di un lungo processo ricco di accuse e smentite, indizi e gravissime supposizioni, finalmente è arrivato il giorno della sentenza: Salvatore Di Grazia sarà condannato all’ergastolo?