Nel silenzio della mondanità e della modernità, c’è una “via crucis” appunto nell’ombra che ogni giorni coinvolge migliaia e migliaia di donne schiave e prostituite ai bordi delle strade di tutta l’Italia. Per questo motivo sono numerose le iniziative volte alla denuncia e all’impegno contro un orrore che da troppo tempo perdura senza di fatto continuità di soluzione: tra le più famose vi è certamente la Via crucis per le donne crocifisse, giunta alla terza edizione e curata dalla Comunità di Don Benzi “Giovanni Paolo XXIII” nella capitale Roma. In udienza generale in Piazza San Pietro anche Papa Francesco è intervenuto con sostengo e preghiera e un qualcosa di più: «Saluto la Comunità Papa Giovanni XXIII e, mentre esorto a continuare l’opera in favore di ragazze sottratte alla prostituzione, invito i romani a partecipare alla Via Crucis per le donne crocifisse che avrà luogo venerdì 7 aprile alla Garbatella». Un invito, come un amico fa con i suoi compagni di vita, così il Papa richiama i suoi amici romani alla via crucis contro la prostituzione. Una via della croce assolutamente “moderna” ma non per questo meno importante o di valore: l’appuntamento di oggi è fissato alle ore 19:00 presso il Ponte Spizzichino, zona Garbatella, per la partenza della simbolica Via Crucis di sostengo e preghiera ad una condizione umiliante e indegna contro tutte le donne coinvolte. «Dinanzi al dramma della tratta e della prostituzione schiavizzata chiediamo alla società civile, alle istituzioni tutte, di unirsi a noi per la liberazione di tante giovanissime donne. Vengono violentate da coloro che pensano di avere il diritto di comprare il loro corpo di ragazze», spiega Don Aldo Bonaiuto della Comunità di Don Benzi, prima che intervenga anche il presidente, Giovanni Paolo Ramonda che ringrazia l’amico Francesco per quell’invito così solidale e così semplice. «Siamo grati al Santo Padre per le sue parole di incoraggiamento; la Sua attenzione per questa piaga sociale ci incoraggia a proseguire con maggiore impegno la liberazione delle ragazze».
Manca una settimana alla Passione e Resurrezione del Cristo, con la celebrazione della Pasqua del Signore per tutto il mondo cristiano: nella penultima Via Crucis che si terrà oggi in tutte le diocesi del mondo in preparazione agli ultimi giorni di Quaresima si ricorda ancora una volta quella morte dolorosa avvenuta sulla Croce del figlio di Dio e dell’Uomo. Occorse forse fermarsi un attimo e guardarsi attorno: dopo duemila anni, ancora, come possiamo stare di fronte al lieto annuncio della Resurrezione di Gesù e al male provocato dal mondo e nel mondo, dagli uomini e contro gli uomini? Come può la promessa di una vita e una vittoria finale sul male far da contraltare alla logica della morte che pare invece impossessarsi di tutto e tutti ad ogni piano della società umana di oggi? Cosa allora ha da dirci quella strada della Croce ancora oggi, nel 2017 segnato da condizioni inumane vissute ogni giorno da migranti, carcerati, perseguitati e semplici vittime innocenti, come visto pochi giorni fa a San Pietroburgo e nella provincia di Idlib in Siria? Sì, lo sappiamo, troppe domande. Eppure proprio quel “dubbio” di una logica di morte che alla fine possa prenderci tutti è inevitabile che almeno una volta nella vita sfiori ciascuno di noi. La sensazione netta che nulla può davvero salvarci dalla miseria e dalla pressione irrespirabile della realtà umana che ci circonda. Intanto Papa Francesco anche quest’anno rinnova la promessa di dedicarsi agli ultimi degli ultimi nel giorno della Lavanda dei Piedi del giovedì santo. Andrà nella Casa di Reclusione di Paliano (in Provincia di Frosinone e diocesi di Palestrina) per celebrare la Messa in Cæna Domini nel pomeriggio di giovedì 13 aprile, con il rito della lavanda dei piedi ad alcuni detenuti. Già proprio da quei carcerati che rappresentano l’ultimo elemento, quasi “invisibile” della nostra società; ebbene, cosa ha da dirci questo apparente fatto “simbolico”? Che per loro, per quegli ultimi che nessuno vuole (e a volte anche a ragione) la logica del male, della morte, può non essere l’ultima parola. Che quella “Croce” venuta e vissuta tra gli uomini ha una salvezza da proporre a ciascuno di noi: nella recente visita al carcere di San Vittore a Milano, Papa Francesco ha ricordato a tutti i detenuti «Voi per me siete Gesù. Bisogna andare oltre le sbarre. Dopo le sbarre c’è un orizzonte, bisogna cercare questo orizzonte grande, la vita, la speranza». Ma ancora più impressionanti sono state le reazioni dei carcerati, da chi riconosce in quel momento di aver sentito “sciolto le sbarre” a chi ha riconosciuto, “da oggi sono finalmente vivo e non più morto. Mi è sembrato per due ore di non essere più in carcere”. Una croce enorme patita e che hanno fatto patire a chi hanno commesso del male: eppure attraverso quella croce questi “ultimi” possono vedere un altro sguardo su di loro. Uno sguardo che libera e che rende possibile una nuova vita. Pur dentro al carcere.
Una via crucis il percorso dentro e fuori da un carcere. Ma anche una via crucis per un terremoto che non vuole proprio sapere di andarsene: ad una settimana dalla Pasqua, per il messaggio di fine Quaresima l’Arcivescovo di L’Aquila ha voluto mandare un particolarissimo pensiero molto originale a tutti i suoi concittadini, ricordano il terribile terremoto patito a L’Aquila il 6 aprile 2009. Mons. Petrocchi ha voluto ricordare come bisogna non cedere alla “sindrome da terremoto”: «L’Aquila esce rafforzata dalla prova ma occorre mantenere viva, nella popolazione, la fiamma di una ‘fondata speranza». Una frattura nel terreno e nella coscienza si è portata via molto più di 309 vittime quella notta di 9 anni fa: difficoltà nella ricostruzione, contrasti e polemiche sociali e politiche oltre ad un nuovo gravissimo sisma avvenuto a pochi chilometri di distanza in questi ultimi sei mesi; anche qui la necessità di trovare un appiglio, un rilancio, è urgentissima. Il Vescovo però scrive come proprio in questo periodo di Passione, morte e Risurrezione del Signore attraverso la Pasqua si possa far memoria di come anche la città de L’Aquila non abbia vissuto, in fondo, una sofferenza vana. «La nostra gente è stata duramente colpita, ma non è stata sconfitta e testimonia che la vita ha la meglio sulla logica della disfatta e della morte». Una luce nata in mezzo al buio, una vita nata in mezzo alla croce di ognuno di noi, una speranza esplosa nella più totale sofferenza: l’impossibilità e paradossalità di questi fatti, la storia continua a proporceli. Alla libertà di ogni singolo uomo la possibilità di aderire a tale percorso, di croce, sofferenza e nello stesso tempo di liberazione. Quantomeno per verificare con la nostra ragione e il nostro cuore se effettivamente quelle logiche di morte “non praevalebunt”.