In questi ultimi giorni e anni non si fa che parlare delle regole di Schengen, ma ancora molti non hanno chiaro che cosa siano realmente. Il protocollo Schengen è ormai diventato l’icona dell’unità dei Paesi europei e regolamenta la libera circolazione, ma vi è ancora parecchia confusione su come e se possa influire sull’attività terroristica presente in Nazioni specifiche. Il nome Schengen si rifà innanzitutto al nome di una città vicina a Lussemburgo, precisamente al confine fra Benelux, Germania e Francia. Diventerà famosa nel 1985, grazie all’accordo Schengen firmato dai Paesi pionieri per contrastare l’azione frenante dei controlli previsti alle frontiere fra Lussemburgo, Francia, Olanda, Belgio e la Germania dell’Ovest.



Nonostante l’accordo Schengen coinvolgesse tutti gli Stati confinanti e interdipendenti, non tutti i dieci Paesi che rientravano allora nell’Unione Europea decisero di aderire. Da qui, l’esigenza di un protocollo intergovernativo che già nel 1990 vide l’ingresso d’Italia e successivamente Portogallo, Spagna, Grecia, Ausrtria, Svezia, Finlandia e Danimarca. Solo a quel punto la comunità europea decise di far rientrare gli accordi di Schengen nel Trattato di Amsterdam firmato nel 1997. Negli anni sono stati molti altri i Paesi ad aderire al protocollo Schengen, fino alla situazione attuale che prevede l’unione di 26 Stati europei. Dal 1997 in poi, quindi, sono rimasti in vigore i soli controlli alle frontiere esterne, abbattendo quindi la supervisione nei confini interni. Ciò non va tuttavia ad influire sul protocollo d’emergenza attivabile in situazioni particolari: per un massimo di 30 giorni Bruxelles può infatti concordare la riattivazione dei controlli alle frontiere interne. 

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