Apparentemente, la rivoluzione in campo divorzile (brutto, vero? Si dice così) è positiva. La Suprema Corte riconosce che il mantenimento vale solo per chi non è indipendente e che mantenere non significa condurre lo stesso stile di vita. Se hai una casa, un reddito, magari un lavoro, il consorte non deve garantirti gli sfizi. Se ti interessano, lavora e pàgateli. Sembrerebbe rivolto alle donne, con un retropensiero atavico pregiudiziale. In realtà, in tante visite ad ospizi e case famiglia aperte dalla Caritas, ho trovato sempre e soltanto uomini, finiti a vivere di beneficienza causa divorzio: come fai a permetterti il doppio affitto? E magari l’ex moglie si è pure sistemata con un altro che l’aiuta a vivere.
Ma non è a questi poveracci, pentiti di matrimoni frettolosi e ancor più frettolosi divorzi che ha pensato la Cassazione. Bisognava dirimere il divorzio dei vip, in questo caso un ex ministro, e a tutti è venuto alla mente il caso Berlusconi-Lario. Cifre da capogiro per un “tenore di vita” che non è affatto un diritto: non ti sposi per sistemarti in perpetuo, bella mia. Tanto più se il divorzio l’hai chiesto tu. Cambierai ville, dismetterai pellicce, se sei giovane ti cercherai un lavoretto o un amante ricco. Idem nei casi, più rari, in cui la ricca è lei, cui tocchi provvedere all’ex marito.
Però si è pensato alle tante casalinghe, per cui il tenore di vita significa sopravvivenza? E soprattutto, si è pensato che la pratica del divorzio diventa sempre più facile? E’ quel che si vuole, si sa. Ma davvero vogliamo che vieppiù lo stato avalli l’irresponsabilità e la cancellazione per legge di una residuale, possibile solidarietà post-matrimoniale? Cambiato idea, ciao, non mi tocca più nemmeno preoccuparmi del conto in banca. Prima o poi a qualcuno verrà in mente che pure i figli dovranno saper cavarsela da soli. Un conto è mangiare, un conto studiare, ad esempio. Manca molto?