Fa riflettere la lettera inviata da una credente a Famiglia Cristiana. Troppo grande il dolore di non poter vivere la propria condizione di fervente credente in ragione della sua irregolarità, determinata dall’essere sposata con un uomo divorziato. L’ultimo episodio è andato in scena la domenica di Pasqua:”Come avviene anche a ogni Natale, faticosamente ho convinto mio marito ad accompagnarci alla Messa e ho varcato la soglia con l’emozione di essere lì insieme. Arrivati in chiesa con un po’ di anticipo e con poche persone presenti. Ho visto il sacerdote, aiutato poi dal seminarista, girare tra i banchi alla ricerca di potenziali lettori per la celebrazione. A pochi minuti dall’inizio era chiaro che ancora non avessero trovato dei candidati e ho sperato che, nella chiesa ormai piena, vedessero anche me. Riconosco la mia non idoneità a essere lettore delle liturgie, ma credevo di poter essere portavoce delle preghiere dei fedeli tra i quali mi sento ricompresa. E lì, nella mattina del giorno del Gesù risorto, tra i canti di gioia, con accanto mio marito e i miei figli, nuovamente ho pianto la mia condizione”.



La risposta di don Antonio Rizzolo è stata quanto più comprensiva possibile e si è rifatta alle parole dello stesso Papa Francesco:”Una si trova in un’intervista rilasciata nel 2014 a un quotidiano argentino. «I divorziati­ risposati non sono scomunicati», ha detto Francesco, «ma non possono essere padrini di Battesimo, non possono leggere le letture a Messa, non possono distribuire la Comunione, non possono insegnare il catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco lì. Se racconto questo, sembrerebbero scomunicati di fatto! Allora, aprire un po’ di più le porte». Questo tema è stato affrontato nell’esortazione Amoris laetitia. Riprendendo la relazione finale del Sinodo, Francesco scrive: «I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere qualidelle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate”. Dunque, amare uno scomunicato non è un buon motivo per sentirsi un corpo estraneo alla Chiesa.

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