Dopo la vicenda agghiacciante di Paolo Catanzaro si prosegue a “Le Iene Show” con uno dei servizi più attesi e chiacchierati. Nel 2013 ci fu il naufragio di un barcone: per 6 ore nessuno fece niente perchè le responsabilità continuavano ad essere rimpallate tra l’Italia e Malta. Entrambe sostenevano che il compito di intervenire fosse dell’altro paese ed intanto il tempo passava e queste persone affondavano. Il dottor Mohanad Jammo fu colui che chiamò per avvisare del naufragio. In questa tragedia inoltre l’uomo ha perso due figli. Nel corso del servizio viene trasmessa la telefonata che ci fu tra il medico e la guardia costiera italiana. La guardia costiera sosteneva che essi fossero più vicini a Malta, oltretutto dicendo una enorme bugia, dal momento che il barcone distava molto di più da Malta che dall’isola italiana di Lampedusa. La comunicazione è davvero surreale: da un lato 300 persone stanno morendo su un barcone in mezzo al mare, dall’altra una centralinista con un inglese stentato continua a dire “Call Malta”, affermando erroneamente che la costa dell’isola di Malta fosse più vicina.
Sconvolge di nuovo l’opinione pubblica la tragedia avvenuta nell’ottobre del 2013, quando un barcone si è rovesciato provocando 268 morti. Ad alimentare nuovamente le polemiche sono state le registrazioni audio di Mohanad Jammo, il medico siriano che per primo lanciò l’allarme alla Guardia Costiera italiana, richiedendo aiuto immediato. Attimi di terrore in cui il professionista si è trovato in balia non solo della corrente del Mediterraneo, ma anche del rimpallo di responsabilità. Quell’11 ottobre l’imbarcazione si trovava a 61 miglia da Lampedusa, ma le autorità italiane dirottano Mohanad Jammo ai colleghi di Malta. E questo nonostante il medico abbia più volte specificato che l’imbarcazione fosse sul punto di affondare, trascinando sul fondale moltissimi bambini. Ne morirono 60, evidenziando un soccorso mancato che punta il dito verso le Ong.
Le telefonate in cui Mohanad Jammo ha richiesto l’intervento delle autorità italiane sono state fatte ascoltare per la prima volta all’inizio di questo mese, grazie ad un’inchiesta de L’Espresso. “I comandi militari italiani sono preoccupati di dover poi trasferire i profughi sulla costa più vicina”, scrive il giornalista Fabrizio Gatti. Al momento della richiesta d’aiuto, infatti, il pattugliatore della Guardia Costiera italiana si trova a solo un’ora e mezza di navigazione, ma rimane lì in attesa di ordini. Cinque lunghe ore in cui l’imbarcazione e tutte le persone a bordo vengono lasciate a loro stesse, nonostante la richiesta di soccorsi del medico. “Vi prego venite in fretta”, “Stiamo morendo, per favore. Trecento persone, stiamo morendo”. Parole agghiaccianti che rimarranno nella memoria, così come le risposte della Guardia Costiera italiana che a più riprese risponde “Yes, yes. Call Malta, call Malta”. Ma Malta è a 161 miglia di distanza e intanto il barcone rimarrà lì, in balia di una spada di Damocle che si abbatterà sulla testa di centinaia di persone.