“Un disegno criminoso perverso”. Così la Corte d’Assise di Torino ha definito il ruolo di Michele Buoninconti nella morte della moglie Elena Ceste. L’udienza d’appello, svolta lo scorso febbraio, ha confermato la condanna a 30 anni di detenzione per il pompiere di Costigliole d’Asti, come emerso dalla sentenza. A complicare il quadro che punta il dito contro Michele Buoninconti ci sono i sospetti contro il presunto amante della donna, “una persona che ben sapeva essere innocente”.
Anche l’occultamento del cadavere di Elena Ceste non sarebbe avvenuto secondo i giudici in un impeto di paura, ma seguendo un piano ben preciso e su cui Buoninconti avrebbe riflettuto a lungo nel tempo. Secondo la Corte d’Assise inoltre non ci sarebbero dubbi sul fatto che il movente dell’omicido vada ricercato nella forte gelosia che l’attuale detenuto covava nei confronti della vittima. A questo particolare va aggiunta inoltre la personalità di Michele Buoninconti, sottollinea La Repubblica, “padre-padrone in famiglia e individuo che ha sempre mostrato la necessità di avere tutto sotto controllo”.
Il pompiere è stato incastrato solo grazie alle sue contraddizioni e non solo per il continuo cambiamento sul ritrovamento degli indumenti della moglie. Questi ultimi infatti assumevano di volta in volta, ad ogni deposizione, una connotazione diversa sia nel tempo che nel luogo. A tutto questo si aggiunge anche un forte disinteresse nelle ricerche di Elena Ceste, in cui mostrava fin dai primi momenti della scomparsa una forte sicurezza nel fatto che la donna non sarebbe mai stata ritrovata. Le parole usate per definire la moglie, oltre al timore esagerato di essere “umiliato” da un suo possibile allontanamento nuda, sarebbero inoltre sintomo di una cinicità e disprezzo che sottolinea il movente.