Elias, 10 anni, è il bambino che non può giocare. Ma è anche il simbolo di come la burocrazia in Italia sia complicata e rischi spesso di travalicare i principi della logica. La passione di Elias è il calcio, ma pur essendo nato e cresciuto nel nostro paese, non può raggiungere i suoi compagni di scuola, gli amichetti che da sempre scandiscono il suo tempo e la sua vita a Torino. Da 4 anni Elias si allena, svolge gli allenamenti ma non può scendere in campo in quella che era la sua squadra Pulcini prima ed Esordienti poi, il club del Lucento. Questo perché, figlio di una migrante arrivata nel 2003 in Italia, Elias è privo del permesso di soggiorno fondamentale per ratificare il suo tesseramento per farlo partecipare in un campionato giovanile ufficiale, sotto l’egida della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Un documento che non ha potuto ottenere perché la madre di Elias per dedicarsi a lui ha interrotto gli studi che le avevano permesso di risiedere in Italia al momento del suo arrivo.



Elias nel frattempo è cresciuto ed ha iniziato a giocare a pallone con i suoi piccoli amici, ed è stato iscritto nel 2013 dalla mamma nella squadra del Lucento, quando aveva sei anni di età. Per quattro anni si è allenato e impegnato settimanalmente, ma non poteva partecipare alle partite perché privo del permesso di soggiorno, nonostante le tante richieste partite dalla famiglia e dal club verso la FIGC per provare a risolvere la situazione. La mamma racconta come Elias passi il sabato a piangere senza neanche andare al campo a vedere la partita alla quale non può partecipare assieme ai suoi compagni di squadra. I rigidi regolamenti FIGC non permettono di sbloccare la situazione che potrebbe essere risolta solo avvalendosi dell’articolo 31 del Testo Unico per l’Immigrazione, che garantirebbe la concessione dei documenti necessari per motivi strettamente connessi allo sviluppo del bambino. Sarà dunque il Tribunale dei Minori ad avere l’ultima parola sul tesseramento di Elias, il bambino che non poteva giocare.

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