La Camera dei deputati approva all’unanimità il testo che affronta in Italia il tema del cyberbullismo e, come prevedibile, la stampa e i social network si riempiono di commenti. Giovani, scuola e internet sembrano le tre parole chiave che meglio descrivono questo fenomeno. In realtà, se si dimentica il percorso da cui un atto di bullismo sorge, si rischia di fare una buona legge per contrastare i sintomi di un fenomeno che, al contrario, non si comprende davvero abbastanza.



La vita sembra promettere grandi cose a chi si affaccia in modo via via sempre più libero sul davanzale della giovinezza: il sesso, i soldi e la trasgressione diventano d’un tratto le vere realtà, quello per cui vale la pena giocarsi e spendersi. Eppure un’esistenza passata da una dipendenza ad un’altra, con l’intervallo di un po’ di sport e qualche videogioco, lascia fermentare dentro il cuore un senso di vuoto, di nulla, di tremendo silenzio che rivela la verità ultima di ogni adolescenza: non ci sono certezze nella mia storia, non ci sono sicurezze, ma solo una tremenda paura di restare solo. 



Nel preciso istante in cui il cuore prende consapevolezza di questo scatta dentro chi è più giovane la ricerca di un meccanismo solido, di una dimensione stabile — al riparo dalle intemperie — per la vita. Si mette dunque in moto un gioco dove il gruppo e l’istinto sono le uniche regole. Questo gruppo e questo istinto si alimentano a vicenda verso ciò che è ritenuto più estraneo, più debole o più avverso rispetto alle logiche che dominano il branco. Inizia la presa in giro, il pettegolezzo, l’irrisione. Non sono atti contro qualcuno, ma comportamenti che mirano a confermare se stessi dentro un luogo — un insieme di rapporti — che rassicura, rinfranca, la persona che li compie. Il bullismo è una delle forme più violente di povertà umana che esista: per non sentire il vuoto, per non sentirmi solo, cerco qualcosa che mi dia conforto, che mi dia quel senso di impunibilità e di onnipotenza che solo un’appartenenza può davvero offrirmi. 



Il fatto è che in tutto questo a rimetterci è un’altra storia, un altro volto, un’altra vita. Tu, amico mio, diventi il danno collaterale, l’inevitabile vittima, del mio disperato tentativo di non essere emarginato, messo da parte, fuori dal cerchio di coloro che non sentono alcun dolore dentro di sé perché impegnati a consumare l’esistenza fino a finirla, fino a distruggerla. Il cyberbullismo porta tutte queste dinamiche dentro la rete e le potenzia: dietro lo schermo e dietro una tastiera diventa tutto più facile. 

Nessuna legge potrà mai risolvere questo. L’uomo potrà essere sanzionato, ammonito e punito, ma finché non troverà qualcuno che accolga il vuoto che ciascuno si porta dentro non cambierà mai. Alla fine la sfida educativa è proprio qui: prima di tante parole o indicazioni i ragazzi hanno bisogno di qualcuno che li incontri. Dietro le grandi leggi che tutelano il bene e la giustizia il rischio vero è che non ci sia nulla, che non ci sia l’opportunità di costruire sul serio degli spazi di vita in cui i bulli e il loro vuoto siano solo un lontano ricordo.