Anche per i giudici della Corte d’Assise d’Appello, Michele Buoninconti è il solo responsabile della morte di Elena Ceste, la moglie e madre dei suoi figli uccisa il 24 gennaio 2014. Da alcuni giorni sono state rese note le motivazioni della sentenza con la quale i giudici d’Appello hanno confermato la condanna a 30 anni di reclusione a carico dell’ex vigile del fuoco di Asti, già avanzata in primo grado. Una condanna che avrebbe amareggiato non poco l’imputato, che al settimanale Giallo, in una intervista in esclusiva aveva dichiarato: “Speravo che andasse diversamente, speravo che la Corte disponesse gli approfondimenti istruttori necessari a eliminare definitivamente ogni dubbio sulla mia estraneità ai fatti”.
Ora Michele Buoninconti resta fiducioso in attesa della Cassazione (“spero che possa riaffermare i principi più volte ribaditi sulla necessaria ricerca della verità da parte dei giudici”), ribadendo così la sua totale innocenza rispetto alla morte di Elena Ceste. Differente l’opinione dei giudici della prima sezione della Corte d’Assise d’Appello, i quali, come riporta La Stampa, avrebbero evidenziato: “Buoninconti è il maggiore accusatore di se stesso”. Sulla base di tale teoria, l’imputato avrebbe agito con un unico obiettivo: costruirsi un alibi. A tal fine, anche il giorno del delitto di Elena Ceste avrebbe mostrato una “straordinaria capacità di transitare sotto telecamere fisse”.
Non è tutto: lo stesso avrebbe agito, in diverse circostanze, allo scopo di depistare le indagini in corso. Lo avrebbe fatto anche con il collega-amico Gian Carlo Soave e con gli altri compagni di lavoro, spronandoli a cercare la moglie scomparsa nell’area nella quale fu poi ritrovata cadavere, ma indirizzandoli verso la ferrovia, dove chiaramente non c’era nulla da cercare. Fu lo stesso Buoninconti, invece, a fingere di perlustrare l’area nella quale giaceva da tempo il corpo della povera Elena, asserendo sempre di non aver visto nulla.
Nelle motivazioni della sentenza di condanna in secondo grado a carico del presunto assassino di Elena Ceste, ci sarebbe spazio anche per il movente e per l’aggravante della premeditazione. Sul primo piano i giudici evidenziano i numerosi “dati oggettivi”, a partire dalla scoperta dell’imputato del “perdurante tradimento della moglie”. C’è poi la premeditazione, che evidenzia un studio minuzioso da parte dell’uomo del luogo in cui occultare il corpo della moglie uccisa. Dopo le ormai note motivazioni della Corte d’Appello, non sono mancate le reazioni da parte delle relative difese.
A commentare le parole dei giudici sono stati gli avvocati di parte civile Deborah Abate Zero e Carlo Tabbia, che hanno asserito: “La sentenza spazza via gli ultimi dubbi che incombevano su questa vicenda”. A loro detta, inoltre, ciò allontanerebbe via l’ombra di una patologia psichica di Elena Ceste sulla quale puntava con forza la difesa di Michele Buoninconti.
Di contro, gli avvocati di quest’ultimo hanno già annunciato: “Chiederemo alla Cassazione di restituire gli atti ad un’altra sezione dell’Assise di Torino”. In tal senso, l’intenzione sarà quella di ripresentare la richiesta di nuove perizie riguardanti le celle telefoniche, l’autopsia, le intercettazioni e la ricostruzione del ritrovamento del cadavere della donna. A loro detta, infine, resterebbe in sospeso l’elemento della premeditazione del delitto che l’Appello non avrebbe contribuito a chiarire.