Sul ventenne autore dell’aggressione nei confronti di due militari e di un agente della polizia ferroviaria giovedì notte alla Stazione Centrale di Milano è stato aperto un fascicolo di indagine per terrorismo. Sul suo profilo Facebook infatti è stato trovato un video dell’Isis e parole di incitamento nei confronti delle milizie islamiste. Si indaga dunque su possibili collegamenti internazionali, anche se la storia personale del giovane sembra far propendere per un caso isolato di radicalizzazione dovuto a un forte disagio sociale e personale. Così la pensa il politico e magistrato Stefano Dambruoso intervistato dal sussidiario: “Da quello che sappiamo il ragazzo proviene da una famiglia estremamente disagiata. Al momento ritengo si tratti di un caso di radicalizzazione personale dovuto alla sua emarginalizzazione e solitudine sociale”. Hosni è figlio di padre marocchino arrestato in passato per stupro e di madre italiana condannata in passato a 8 anni di carcere per violenza privata. I due da qualche tempo sono tornati in Puglia, regione di origine della donna, lasciando Ismail Hosni da solo. Più di ogni altra cosa, quello che impressiona sono le parole che ha detto agli investigatori: “Sono solo e abbandonato”.
Onorevole, secondo lei quello dell’autore dell’aggressione a Milano è un problema individuale o sistemico?
Direi senz’altro individuale, da quanto abbiamo potuto sapere fino ad ora. E’ un giovane che proviene da una famiglia con gravi problemi sociali, lui stesso probabilmente con grave disagio personale dovuto a quello che sembra uno stato di abbandono. E’ chiaro che persone così deboli ed emarginate cerchino qualcosa a cui attaccarsi, soprattutto siano sempre a rischio di gesti di emulazione. Nel suo caso, date le origini islamiche, questo si traduce con un interesse per certe attività terroristiche di quel mondo.
Esclude dunque che a Milano esistano cellule terroristiche, o comunque aggregazioni di personaggi legati a quel mondo? L’attentatore di Berlino è stato trovato proprio alle porte di Milano.
Le indagini conclusive di quel caso hanno dimostrato che quella persona era solamente di transito da Milano, stava cercando di prendere un autobus per raggiungere la Calabria dove aveva degli appoggi. Non era a Milano perché c’era una cellula che doveva dargli rifugio.
Colpisce però la quasi coincidenza con il blitz delle forze di polizia di qualche giorno fa proprio alla Stazione Centrale di Milano. Un blitz che è stato fortemente contestato da molti, anche dal sindaco Sala.
Dal mio punto di vista le forze dell’ordine agiscono sempre con una deontologia precisa, che significa sapere quando e in che misura agire. A seconda del rischio segnalato giustamente si muovono sul territorio come ritengono opportuno. Il caso di questo giovane sbandato conferma la bontà dell’operazione.
Ma secondo lei ci sono contrasti, o scarsa comunicazione, fra amministratori locali e forze dell’ordine? C’è bisogno di maggiore cooperazione?
E’ quello che in sostanza ha fatto il ministro Minniti in questi giorni proprio a Milano firmando il patto di accoglienza fra ministero e sindaci, una maggiore e più stretta collaborazione tra amministratori locali e governo centrale.
Siamo comunque davanti a una duplice problematica, sicurezza e terrorismo da una parte, e integrazione e migranti dall’altra.
Sono ambiti che vanno seguiti tutti e due tenendoli però separati. L’emergenza migranti va seguita in modo unitario sui soggetti presenti nel nostro Paese, persone che rischiano di finire nelle reti della criminalità organizzata se abbandonate. Allo stesso tempo va creata e sostenuta una rete di accoglienza selettiva attraverso centri e opere di accoglienza con la stretta sorveglianza del governo.