A quasi un mese dall’inizio del processo d’Appello sul delitto di Yara Gambirasio e che vede imputato Massimo Bossetti, condannato in primo grado all’ergastolo, l’attenzione mediatica torna ad essere molto alta. Il caso appassiona per via delle due fazioni divise tra colpevolisti e innocentisti. C’è chi crede che il muratore di Mapello sia stato ingiustamente arrestato e condannato sulla base di una serie di errori clamorosi da parte degli inquirenti, a partire dal discusso Dna. E proprio su questo e sulla richiesta di una nuova superperizia si baserà la difesa dell’imputato nel secondo grado in partenza a Brescia il prossimo 30 giugno. Tra i sostenitori dell’innocenza dell’uomo anche la sua famiglia, compreso il cognato Agostino Comi, fratello della moglie Marita. L’uomo è stato recentemente intervistato dalla trasmissione Quarto Grado ed oltre a riferire i suoi dubbi su presunti errori commessi dagli inquirenti, ha anche raccontato come starebbe trascorrendo Massimo Bossetti questi delicati giorni di attesa. “Ha degli alti e bassi, quello è normale in quei posti lì”, ha confermato il cognato. Lui, nel frattempo, continua a dirgli di tenere duro, “gli dico, ché la verità deve saltar fuori in un modo o nell’altro”. E come il resto della famiglia auspica che possa essere presto fatta luce su questo terribile giallo.



Tra poco più di un mese, Massimo Bossetti, presunto assassino di Yara Gambirasio, tornerà in aula in vista dell’inizio del processo d’Appello che si celebrerà davanti alla Corte di Brescia. Già condannato all’ergastolo in primo grado per l’omicidio e l’occultamento di cadavere della 13enne di Brembate, il carpentiere ha sempre ribadito la sua innocenza supportato dalla sua difesa che è pronta a dare battaglia anche nel secondo grado, al fine di dimostrare l’estraneità dell’uomo rispetto alle gravissime accuse. Tante le anomalie che secondo la difesa di Bossetti sarebbero trapelate non solo dalle indagini ma anche nel corso del lungo processo che si è chiuso lo scorso primo luglio con la condanna al carcere a vita, a carico del muratore. Proprio su questo, come più volte ribadito da uno dei legali difensori, l’avvocato Claudio Salvagni, punterà il secondo grado, nel quale sarà nuovamente affrontato il tema relativo a quel “Dna monco” rinvenuto sugli abiti della vittima ed attribuito a Massimo Bossetti.



A mettere in dubbio il lavoro degli inquirenti, nel corso di una recente intervista rilasciata alla trasmissione Quarto Grado, è stato anche il cognato del presunto assassino di Yara Gambirasio. Agostino Comi, fratello di Marita, moglie dell’imputato, ha ripercorso con la mente i momenti tragici nei quali apprese dell’arresto di Massimo: “Negli interrogatori che mi facevano, io dicevo come conoscevo Massimo, ma loro sembrava volessero che dicessi tutt’altro”, ha asserito ai microfoni del programma Mediaset. “Per me son stati colpi bassi, perché anche loro poi si son resi conto che comunque era una famiglia normale”, ha aggiunto, in merito ad alcune notizie che erano trapelate nella prima fase delle indagini e poi ridimensionate nel corso del processo.



Secondo il cognato di Massimo Bossetti, gli inquirenti che indagavano sull’omicidio di Yara Gambirasio, fino all’arresto del carpentiere non avevano nulla tra le mani. “Per cui dovevano creare qualcosa per forza… l’unica cosa era quella goccia lì, che assomiglia al suo DNA a quanto mi sembra”, ha commentato, senza ignorare i tanti dubbi che ruoterebbero ancora attorno a questa traccia biologica e sulla quale tenteranno di far luce gli avvocati di Bossetti nel corso dell’Appello. Per Agostino Comi, ci sarebbe stato un possibile errore nelle indagini, ritenendo che la prova scientifica del Dna non sia del tutto sufficiente a dimostrare la colpevolezza del cognato, auspicando così in altre prove utili a fare chiarezza sul giallo. “Io so che le persone possono sbagliare… loro non lo ammetteranno mai, perché con tutti quei soldi che hanno speso qualcuno dovevano trovare”, ha commentato l’uomo, puntando il dito contro gli inquirenti e facendo così intendere che Massimo Bossetti, in tutti questi anni sarebbe stato solo un “capro espiatorio”.

In vista del processo di secondo grado, dunque, l’intera famiglia Bossetti e la difesa dell’imputato chiedono a gran voce che sia fatta la famosa perizia. Se ciò non dovesse accadere, a detta del cognato significherebbe “che sotto c’è qualcosa […] Han paura di far saltar fuori che sia… e chi lo sa? Chi me lo dice che non sia un suo cugino, un suo parente… il Dna può somigliare, no?”, si domanda. Se anche dopo la nuova perizia il Dna in questione dovesse risultare appartenente a Massimo Bossetti, il fratello di Marita stenterebbe ancora a credere alla sua colpevolezza: “Se mi fanno vedere tutte le altre cose che non sono chiare, ne parliamo. Ma se mi fanno vedere solo quello, non ci credo assolutamente”, ha chiosato. Intanto il tempo stringe e finalmente a breve si ritornerà in aula nella speranza che si possa fare luce una volta per tutte su quanto accaduto alla povera Yara Gambirasio la sera di quel tragico novembre 2010.