Uno studio a cura della Royal Society inglese avrebbe dimostrato che i social network più dannosi per i giovani siano Instagram e Snapchat perché “entrambe piattaforme che ruotano intorno all’immagine e sembra che possano condurre a sentimenti di inadeguatezza e ansia fra i più giovani”. E il gioco della “balena azzurra”, Blue Whale, diffusosi così rapidamente su Facebook istigando i ragazzi a uccidersi? Per Silvio Catterina, educatore e psicoterapeuta, il messaggio è lo stesso: “In un mondo, il nostro, dove ormai è passato il messaggio che esisti se sei guardato, osservato, visto da altri, dove tu vali solo sei sei visto da altri, il suicidio pubblicizzato diventa il gesto estremo di chi non è stato guardato, né dai genitori, né dai preti, né dagli educatori, in un contesto di realtà. Allora resta solo questo per dire in modo drammatico: io ci sono, io c’ero”.



Mai come in questi tempi si parla tanto di suicidio. Quando uno come Cappato dice che lui non istiga al suicidio, ma aiuta chi ha bisogno, che messaggio passa nella gente?

Un messaggio molto sottile: che è possibile e alle volte è bene suicidarsi. Molto lentamente e in modo subliminale passa che è una delle possibilità che una persona ha.



Invece?

Non è una possibilità data, è una possibilità rubata. Non è che possiamo fare tutto, ci sono cose che è bene che non si possano fare.

Invece oggi passa il concetto che ognuno ha diritto alla libertà assoluta, è così?

La vera libertà dell’uomo, essendo egli una creatura, il sommo della libertà è il suo sì alla vita. Non ha la possibilità di dire no, alla vita non si può dire no. 

In America alcuni presidi hanno proibito ai loro studenti di leggere il libro da cui è tratta la serie tv “13”, storia di una ragazzina suicida, perché istigherebbe al suicidio.



Questo è un atteggiamento che ha valore fino a un certo punto, tanto i giovani trovano il modo per arrivare a quello che vogliono. La vera grande questione è parlare del valore della vita. Non è tanto neanche il suicido la questione principale, ma questo tipo di suicidio così pubblicizzato di modo che il valore del suicidio è farlo vedere a tutti. Tu vali solo se sei visto dal maggior numero di persone. 

Non è nella nostra natura il bisogno di essere guardati da un altro? Non è questo sguardo su di noi che ci dà autentica consistenza, ci fa uscire dal nostro narcisismo?

Certo, perché la vita è così grande e bella comunque che se non c’è qualcuno che la vede e l’ammira, che gli dà uno sguardo, questo qualcuno sei costretto a fabbricartelo tu. Questo suicidio allora deve essere guardato.

Un modo per dire: io c’ero, ma se non mi ammazzo non mi guardate?

Internet ti lancia perché la vita va guardata, ma per guardarla ci vuole uno più grande della vita stessa. Ci si illude che questo qualcuno sia la Rete. 

Il nichilismo ha preso piede ovunque, è terribile pensare che anche l’affetto più grande, quello per i figli, sia il comunicare questo cinismo verso la vita. E’ così?

Questa assenza nei rapporti è perché non si annuncia più che c’è una grande presenza: i preti, gli adulti non annunciano più che nella realtà c’è una presenza, che non c’è bisogno di inventarla. Bisogna dirlo e mostrarlo. I giovani di oggi vivono due grandi assenze: io, la mia persona. Pensano di non valere, non pensano che invece la cosa più preziosa che c’è al mondo sono io.

L’altra?

L’altra grande cosa che nessuno dice più loro è che nella realtà c’è un volto, la realtà non è qualcosa di insignificante che gira attraverso dei meccanismi indecifrabili. Nella realtà c’è una presenza, ma nessuno lo sa più dire.

E’ in questo modo che il desiderio che abbiamo nel cuore si spalanca invece di diventare un buco nero che ci inghiotte?

Queste due cose: tu sei la cosa più preziosa dell’universo e l’altra, la realtà, nella quale c’è un invito. La parola stessa significa “chiamato dentro la vita”. Se mancano queste due cose manca tutto e allora bisogna inventarsi una realtà virtuale.

(Paolo Vites)