All’inizio i volti erano un po’ tirati. Al termine però la nota della Santa Sede ha definito l’incontro “cordiale”. Papa Francesco e Donald Trump sono rimasti mezz’ora faccia a faccia, parlando di “comune impegno a favore della vita e della libertà religiosa e di coscienza”, di pace nel mondo da perseguire mediante “il negoziato politico e il dialogo interreligioso”, soprattutto per quanto riguarda il Medio oriente e le comunità cristiane. “Guardare negli occhi” Trump “e dare messaggi semplici ma chiari”, senza ammiccare al potere: questo voleva papa Francesco e così ha fatto, dice al sussidiario padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica.



Che impressione le ha fatto quella che alcuni media statunitensi hanno definito “odd couple”, coppia bizzarra?

E’ stato un incontro importante e in qualche modo necessario. La visita del presidente americano durante un suo viaggio in Italia per il G7 implicava naturalmente anche l’incontro con papa Francesco. Certo però era un incontro potenzialmente imprevedibile rispetto agli altri immediatamente precedenti nel senso che il papa non doveva acquistare armi né altro dal presidente americano, ma guardare negli occhi e dare messaggi semplici ma chiari. Mi pare sia stato un incontro molto schietto.



Da una parte il papa degli ultimi, dall’altra il milionario di potere, a suo modo anch’egli simbolo dell’America, “America first”.

Sì, siamo davanti a due opzioni di vita differenti. Ma credo pure che sia necessario distinguere bene tra Trump candidato e Trump presidente. Prescindendo da ogni giudizio e valutazione, vediamo che su molti fronti Trump adesso usa un altro approccio o almeno altri termini; lo abbiamo visto anche nella recente tappa in Arabia Saudita a riguardo della sua considerazione per il mondo islamico. Verificheremo intenzioni e risultati.

E per quanto riguarda l’incontro con Francesco?



Francesco è guidato da una valutazione non ideologica: non distingue il mondo in buoni e cattivi, non ha una visione hollywoodiana della realtà, sa perfettamente che nei grandi quadranti internazionali i veri protagonisti sono gli interessi. Per questo parla con tutti. E così è stato anche questa volta. Ma senza entrare in reti di alleanze. Lo ha fatto mantenendo i giusti rapporti tra dimensione politica e valori spirituali. 

Trump ha regalato al pontefice una raccolta di scritti di Martin Luther King. I doni non vengono mai scelti a caso. Perché questa scelta?

Gli Stati Uniti sono certamente portatori di grandi valori come la libertà, l’identità, l’uguaglianza, valori vissuti in maniera molto tesa, talvolta anche contraddittoria. Ma sono valori ai quali anche il papa fa costante riferimento e lo si è visto in modo chiaro durante la sua visita negli States. Con il suo dono, Trump ha certificato questo accento. Ricordiamoci poi che quando si è inaugurato ufficialmente il mandato presidenziale, papa Francesco ha mandato al neopresidente un telegramma in cui ha ribadito l’importanza di questi valori, alcuni dei quali sono sembrati in netta contraddizione con la linea dell’ex candidato Trump.

Mentre papa Francesco ha ricambiato con la Laudato si’, l’Evangelii gaudium e la Amoris laetitia, con in più il messaggio per la Giornata mondiale della pace. 

Doni formali, al cui interno si trovano però messaggi molto forti. Due in particolare: la pace così come la intende Francesco, fondata sulla giustizia sociale, e quello sul creato contenuto nella Laudato si’, che implica tutta una serie di impegni che oggi rischiano di essere messi in discussione, anche dall’amministrazione statunitense. 

Quando papa Francesco parla di pace, che cosa vuole dire? Il suo è anche un messaggio politico?

Pace, per Bergoglio, significa agire sui quadranti più delicati della politica internazionale in nome degli “scarti”, dei più deboli. La pace deve essere sempre collegata all’inclusione sociale dei poveri. I conflitti armati hanno nei temi sociali la loro radice. Per questo papa, come per i suoi predecessori, esortare alla pace significa continuare nel solco tracciato da Giovanni XXIII con il suo messaggio del ’62: parlare con tutti i capi di stato e le persone che hanno influenza per promuovere, favorire, instaurare il dialogo a tutti i livelli, come regola di saggezza e di prudenza, in vista di una realtà più rispettosa degli uomini e quindi più giusta. Dunque un invito, in questo caso al presidente Trump, a fare molta attenzione a come ci si muove. Ad esempio un’ingente vendita di armi può essere sì esibita come una misura per aiutare la pace, ma è evidente che siamo lontani da quello che il papa intende.

Una vendita come quella appena siglata tra Stati Uniti e Arabia Saudita?

Esattamente. Quando il comunicato parla di promozione della pace nel mondo, cita anche le vie maestre per conseguirlo, che sono “il negoziato politico e il dialogo interreligioso”. Dove negoziato e dialogo sono termini aperti, uniti ma distinti. Ma, ad esempio, sarà difficile realizzare dialogo e negoziato in Medio Oriente escludendo del tutto e demonizzando l’Iran del presidente Rouhani, il quale, ricordiamolo, è stato ricevuto dal Papa come lo è stato Trump.

Con “uniti ma distinti” che cosa intende?

Voglio dire che l’elemento religioso non va mai confuso con quello politico, cadendo in una sorta di pan-costantinismo. Qualcuno crede che Trump visitando prima i capi di stato di Arabia Saudita e Israele abbia parlato ai capi delle altre due grandi religioni monotestiste, islam ed ebraismo. Invece ha incontrato due capi di stato. Confondere potere spirituale e potere temporale significa asservire il primo al secondo. Il Papa sfugge a questa logica costantiniana.

Oggi chi è più esposto a questo possibile fraintendimento? I cattolici? L’establishment politico americano?

Direi che quella di proiettare la divinità sul potere politico che se ne riveste per i propri fini è una tentazione trasversale. Anche in parti del mondo cattolico a volte ritorna una tentazione costantiniana; ma la fede non ha bisogno di una sponda nel potere. Seguendo questa strada, alla fine la religione diventa la garanzia dei ceti dominanti. Proprio ciò che Francesco teme e non vuole. Leone III incoronò Carlo Magno imperatore. Francesco  separa nettamente “sacerdotium” e “imperium” reinventando la loro relazione.

Papa Francesco ha fatto e fa i conti con due presidenze americane, prima quella di Obama e oggi quella di Trump. A quale delle due è più vicino?

Il papa non sceglie tra amministrazioni legittimamente elette, e non pone muri, lo ha detto più volte; fare una scelta significherebbe in qualche modo entrare aprioristicamente in contraddizione con questa apertura. E’ lo stesso metodo applicato durante il suo ministero episcopale a Buenos Aires. In occasione della commemorazione funebre di Nestor Kirchner chiese ai concittadini di pregare per lui perché erano stati loro ad averlo eletto, e tutti conosciamo la distanza tra l’allora cardinale Bergoglio e l’ex presidente argentino. Papa Francesco sa che non è il suo compito esprimere preferenze: rispetta sempre l’autorità costituita. E’ chiaro che poi ci si confronta sulle scelte compiute, sulle quali il suo giudizio non è mai mancato. Neanche adesso.

(Federico Ferraù)

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