Dopo Steve Jobs a Stanford — quante volte ho letto con i miei studenti tanti passaggi del suo discorso del 2005 — Mark Zuckerberg ad Harvard. Due falliti, secondo il sistema di istruzione ufficiale, che hanno fatto successo mille volte più dei laureati cum laude. Due geni espulsi dal sistema formativo standardizzato che tornano per dire agli studenti che cosa vale veramente avere davanti agli occhi, negli studi e nella vita.
È un genio, Mark Zuckerberg, e dice una montagna di cose geniali. Che il problema della vita è lo scopo, per esempio. Ma non in maniera riduttiva: “Trovare il vostro scopo non è sufficiente. La sfida della nostra generazione è creare un mondo dove tutti sentano di avere uno scopo. Uno degli aneddoti che preferisco è legato alla visita di John F. Kennedy al centro spaziale Nasa. Vide un inserviente con una scopa e gli chiese cosa stesse facendo. L’inserviente rispose: “Presidente, sto aiutando a portare un uomo sulla luna”. A chi non viene in mente il celebre aneddoto russo dei tre uomini che spingono una carriola di pietre, il primo maledicendo la fatica, il secondo tranquillo perché sta portando a casa il pane per la famiglia, il terzo esultante perché sta contribuendo a costruire la casa di Dio? “Lo scopo — prosegue infatti Zuckerberg — è quel senso di appartenenza a qualcosa di più grande di noi, la sensazione di essere necessari e di lavorare per arrivare a qualcosa di meglio. Lo scopo è ciò che crea la vera felicità”.
Non è facile avere uno scopo grande, oggi. “Quando si sono laureati i nostri genitori, lo scopo derivava dal lavoro, dalla chiesa, dalla comunità. Nei nostri giorni però la tecnologia e l’automazione stanno sostituendo tanti lavori. L’appartenenza alle comunità non è più così importante. Molte persone si sentono disconnesse e depresse e cercano di colmare un vuoto. Per far progredire la nostra società, dobbiamo affrontare una sfida generazionale: non dobbiamo solo creare nuovi lavori, ma anche dare un nuovo senso allo scopo”. A chi non viene in mente la mille volte ripetuta affermazione di don Luigi Giussani, che “per il fatto stesso che uno vive cinque minuti, afferma un senso per cui vale la pena vivere quei cinque minuti”?
Poi sintetizza il suo pensiero in tre punti (e io non riesco a non essere colpito dall’analogia coi tre racconti di Steve Jobs): “Oggi voglio parlare di tre modi per creare un mondo dove tutti sentono di avere uno scopo: l’avvio di progetti straordinari insieme, la ridefinizione delle pari opportunità per dare a tutti la libertà di perseguire il proprio scopo e la costruzione di una comunità in tutto il mondo”.
Programma ambizioso, si dirà. Ma che bello che, in un mondo cinico e rassegnato, dove gli adulti sembrano solo preoccupati che i propri figli trovino un posto sicuro e non facciano errori, qualcuno ricordi loro che sono grandi, che sono fatti per cose grandi, che il loro orizzonte è il mondo. Che ricordi loro — è uno dei passaggi che più mi ha entusiasmato — che “i successi più grandi derivano dalla libertà di sbagliare”. E a me sembra di risentire, nel discorso di Zuckerberg, l’eco — riformulata nel linguaggio e nel contesto di oggi — di un passo tante volte citato di Antoine de Saint-Exupéry: “Se vuoi costruire una nave, non devi per prima cosa affaticarti a chiamare la gente a raccogliere la legna e a preparare gli attrezzi; non distribuire i compiti, non organizzare il lavoro. Ma invece prima risveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato”.
Sì, qualcuno potrà dire che è il programma del Padrone del mondo, la versione laicizzata di quel che Gesù va ripetendo da una ventina di secoli (a chi avrà voglia di leggersi per intero il testo citato il gusto di trovare le assonanze). Ma, come diceva sant’Ambrogio, “La verità, chiunque la dica, viene dallo Spirito santo”. E comunque quel genio di Zuckerberg conclude con una preghiera vera: “Mi Shebeirach, che recito ogni volta che devo affrontare una sfida e che canto a mia figlia pensando al suo futuro quando le rimbocco le coperte. Dice: ‘Che la fonte di forza che ha benedetto quelli prima di noi ci aiuti a trovare il coraggio di rendere la nostra vita una benedizione'”.