Omeopatia, è boom in Italia: un paziente su cinque preferisce la medicina alternativa, rendendolo un business da 300 milioni di euro. Sono tanti gli italiani che fanno uso di medicinali non convenzionali, terapie a cui ad esempio si sono rivolti anche i genitori del bambino di 7 anni che è poi morto per le conseguenze di un’otite mal curata. Proprio questo caso di cronaca ha riacceso i riflettori su un fenomeno in crescita. Lo certifica il Rapporto Italia 2017 di Eurispes, che registra una crescita del 6,7% rispetto al 2012. Cresce di conseguenza il consumo: l’anno scorso l’Italia si è confermata al terzo posto nel mercato europeo del settore, dietro Francia e Germania.
Ma sta arrivando una stretta sui prodotti: entro il 30 giugno i produttori di omeopatici dovranno fornire all’Aifa la documentazione sui preparati per ottenere l’autorizzazione per l’immissione in commercio. In molti, come riportato da Il Messaggero, sostengono che ciò si tradurrà in un crollo del fatturato. L’obiettivo della norma è garantire tutela e sicurezza dei pazienti, ma così potrebbero aprirsi le porte della vendita sui mercati stranieri. Intanto il Comitato nazionale per la Bioetica chiede modifiche sull’etichetta e in particolare l’eliminazione del termine “medicinale”, da sostituire con “preparato” e da integrare con l’espressione “di efficacia non convalidata scientificamente”. Gli addetti ai lavori, però, giudicano questa richiesta una sorta di guerra contro l’omeopatia.
In molti Paesi è integrata nell’ambito del sistema sanitario, ma la formazione in Italia non risponde a norme chiare, quindi basta una laurea in medicina e una specializzazione. Alla base di tutto deve esserci il buon senso: ci sono eccessi, come nel caso del bambino di Ancona, che fanno riflettere. In Italia non manca solo una legge specifica sulla formazione, ma anche il mercato delle cure omeopatiche è lacunoso.