Caro Francesco, grazie di cuore. Da oggi ti sento fratello e Amico. Ti confido una cosa: sono romanista sfegatato ma non sono mai stato “tottiano” e negli ultimi tempi ti ho mal sopportato. E’ con questo sentimento di fastidio che mi sono avvicinato al giorno del tuo addio al calcio. Senza alcuna emozione addosso, con un certo sano distacco.



Eppure è da sabato pomeriggio che qualcosa in me è accaduto. Mentre i miei figli guardavano un servizio su Roma Tv, mi sono di colpo reso conto che stava accadendo un evento significativo per la mia vita. E riguardava proprio me e te. Di colpo mi sono commosso, con quel nodo in gola che ti strozza fino alle lacrime. Io e te, e questi ultimi 25 anni di vita. Ho pensato a cosa ero 25 anni fa, un ragazzino, e cosa è successo in questo quarto di secolo. Mi è passata davanti la mia vita, la strada fatta, tra cose belle e altre più dolorose: e mi son reso conto che quel ragazzino che ero, è diventato un uomo, adulto e papà. Francesco, tu e io abbiamo la stessa età e siamo cresciuti insieme, domenica dopo domenica. Amando la stessa storia e la stessa maglia, condividendo una grande passione. Da lontano, senza conoscerci, ma fedeli al nostro appuntamento della domenica.



Mi son reso conto che questa storia di 25 anni, per entrambi intensissima, oggi è finita. E domenica mattina mi sono immedesimato nel tuo, nostro, ultimo giorno insieme. Ho pensato alla notte che avrai trascorso, a quando da solo la mattina sei andato nel centro di allenamento di Trigoria: e lì ti hanno scovato tra i tuoi campi e i tuoi prati, a catturare per l’ultima volta l’odore dell’erba fresca appena schiacciata dai tacchetti delle tue scarpe. E anche per me, le mie abitudini domenicali, oggi hanno avuto un senso diverso. Mi sorprendeva, ogni tanto, all’improvviso, il pensiero che davvero era finita, che si chiudeva una storia, e che non sarebbe stato più come prima. Era l’ultima domenica insieme.



Hai detto bene Francesco, “maledetto il tempo!”. Non riuscivi più a staccarti dall’Olimpico, a liberarti dall’abbraccio delle persone che ti vogliono bene. E’ durato una vita quel giro di campo, è stato come salire con te sulla macchina del tempo e rivivere tutte le nostre emozioni personali e quelle vissute insieme, grazie alla Roma. Te ne dico una su tutte. Mentre raccontavi del giorno dello Scudetto, del 17 giugno 2001, il mio pensiero è andato a quel viaggio in macchina, dopo la fine della partita, da solo, con le lacrime di gioia immensa miste a malinconia per non aver potuto condividere quel momento con un mio caro amico morto un mese prima.

Ma hai ragione quando dici che i sogni si interrompono mentre la realtà va avanti. Anche quando vorremmo fermarla. E fa paura, per dirla con le tue parole, quando non riesci a vedere cosa c’è al di là del buco della rete. Vivo la tua stessa paura, pensando alle scelte che devo fare ogni giorno, alle svolte che mi aspettano.

Ma Francesco, tu e io non sappiamo cosa ci aspetta, è vero, ma conosciamo bene cosa c’è davanti a noi e cosa c’è alle nostre spalle. Ed è questa la piccola grande certezza con cui dobbiamo guardare il domani e le domeniche che verranno. Insieme agli amici e alle persone che ci amano. Scoprendo che la nostra storia non è finita, ma è cambiata. E che il bello deve ancora venire.

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