Manca un mese all’inizio del processo d’Appello che vede imputato Massimo Bossetti, considerato l’autore del delitto di Yara Gambirasio. Alla vigilia dell’importante appuntamento in aula, la madre Ester Arzuffi è tornata a parlare e dopo la sua ospitata al Maurizio Costanzo Show, questa volta è intervenuta alla trasmissione di Telelombardia “Iceberg Lombardia” parlando ancora una volta del figlio ed affrontando diversi aspetti del caso. Forse per la prima volta la donna ha dedicato ampio spazio alla vera vittima, Yara Gambirasio, uccisa a soli 13 anni. La famiglia del muratore in carcere è convinta dell’innocenza dell’uomo ed anche Ester Arzuffi lo ha riconfermato. Per loro, dunque, il vero assassino della bambina sarebbe ancora in libertà. “La mamma di Yara l’ho sempre pensata, è lei che tante volte mi dà coraggio”, ha dichiarato Ester Arzuffi. La donna ha manifestato il suo profondo dolore per quanto accaduto alla famiglia Gambirasio, conscia del fatto che, pur ritenendosi anche lei una vittima, almeno può riabbracciare il figlio, anche se solo per un’ora al mese. “Mi piacerebbe incontrare la signora Maura Panarese, le cose da dire sono tante”, ha poi aggiunto. “Mi piacerebbe sedermi con la signora Gambirasio e parlare con lei faccia a faccia: io sono disponibile a incontrarla quando vuole”, una richiesta sentita, quella avanzata da Ester Arzuffi, ma che ad oggi non ha ancora trovato la replica da parte della madre di Yara Gambirasio.
Ad essere certa dell’innocenza di Massimo Bossetti, presunto assassino di Yara Gambirasio, è anche Nadia Comi, cognata dell’uomo e sorella della moglie Marita Comi. Alla vigilia del processo d’Appello, la donna è stata di recente intervistata dalla trasmissione Quarto Grado, alla quale ha fornito una descrizione di Bossetti, ovvero “una persona semplice, buona, che adora la sua famiglia e adora sua moglie”. A sua detta, questa immagine non sarebbe ancora emersa dal giorno del suo arresto e molte cose sarebbero state ingigantite. L’intera famiglia ha sempre voluto capire che cosa avessero in mano gli inquirenti, fino a comprendere “che non avevano in mano nulla, tranne quel famoso Dna per il quale ci sono molti dubbi”. La cognata di Massimo Bossetti ha raccontato gli attimi drammatici dell’arresto di Massimo, poi ha commentato un altro rischio che correrebbe il cognato, ovvero quello di vedersi togliere la patria potestà. “Gli stanno rubando la possibilità di essere padre. Questi tre anni non glieli potrà ridare nessuno”, ha commentato. Eppure Massimo Bossetti continua a restare centrale nella sua famiglia. La donna ha quindi insistito sull’innocenza dell’uomo: “Essere in carcere da innocente è veramente terribile”. “Yara per noi non ha avuto ancora giustizia, perché il colpevole non c’è ancora”, ha aggiunto. Anche per questo la cognata ha chiesto la perizia sul Dna come avanzato dalla difesa di Bossetti e dal resto della sua famiglia.
Tra un mese esatto prenderà il via il processo di secondo grado che vedrà protagonista Massimo Bossetti, presunto assassino di Yara Gambirasio. Anche l’Appello, che andrà in scena nelle aule del tribunale di Brescia, si preannuncia un processo altamente mediatico, al pari del primo grado conclusosi dopo circa 40 udienze con la condanna dei giudici bergamaschi alla pena dell’ergastolo. Per l’accusa, Massimo Bossetti è Ignoto 1, il cui profilo genetico fu ritrovato sugli indumenti (compresi quelli intimi) della tredicenne Yara Gambirasio, scomparsa il 26 novembre 2010 e ritrovata solo tre mesi dopo in un campo abbandonato di Chignolo. Il Dna, la “prova regina” che ha portato al suo arresto e poi alla sua condanna, sarà ora fortemente contestata in Appello dalla difesa del muratore, che continua a credere nella sua innocenza. Bossetti, di fatto, ha sempre smentito di essere stato lui ad uccidere la ragazzina ed a tal proposito ha chiesto a gran voce una super perizia sul Dna, al fine di dimostrare i clamorosi errori compiuti nel primo grado e smentire di essere realmente lui il discusso Ignoto 1.
Ad oggi, su questo argomento si sono susseguite numerose teorie esposte sia dalla difesa che dalla madre di Massimo Bossetti e che troveranno spazio anche nel processo d’Appello in partenza dal prossimo 30 giugno, sebbene si prospetti essere di durata nettamente inferiore rispetto al precedente procedimento. Ora, proprio alla vigilia dell’importante data, emerge una nuova importante indiscrezione resa nota dal settimanale Oggi, da sempre molto attento al caso di Brembate e che ha spesso velatamente sostenuto l’innocenza di Bossetti, o comunque messo in dubbio la sua colpevolezza. Stando al settimanale, sulla felpa di Yara Gambirasio potrebbe esserci la prova che il suo corpo non sia rimasto per tre mesi nel campo di Chignolo d’Isola dove poi è stato rinvenuto tre mesi dopo la scomparsa della ragazzina.
Un nuovo elemento è emerso di recente nel caso di Yara Gambirasio, il quale continua ad essere un vero giallo sebbene sia stato condannato alla pena dell’ergastolo, in primo grado, Massimo Bossetti, ritenuto il solo responsabile. Ora, infatti, potrebbe essere smentita la tesi dell’accusa secondo la quale a trasportare il corpo della ragazzina uccisa nel 2010 sarebbe stato proprio il muratore Massimo Bossetti. Lo rivela il settimanale Oggi partendo dalle dichiarazioni contenute nelle 470 pagine della relazione medico-legale basata sul lavoro dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo. Sulla felpa indossata il giorno del delitto da Yara Gambirasio, sotto il piumino e sopra la maglietta, mancherebbero due elementi importanti: le lacerazioni provocate dagli animali (in particolare roditori) e la polvere di ossido di calcio. Entrambi questi elementi, infatti, sarebbero presenti sul resto degli indumenti indossati da Yara il giorno della sua scomparsa, compresi i leggings ed i calzini. La domanda che avanza il settimanale è semplice: come mai la felpa della 13enne uccisa sarebbe stata risparmiata da tali deterioramenti?
Questo quesito aprirebbe ad una pista alternativa rispetto a quella ufficiale sostenuta dall’accusa. Infatti, se dopo la morte di Yara Gambirasio l’assassino avesse sfilato il giubbino, la felpa e le scarpe della vittima e fosse stata rivestita prima dell’abbandono in quel campo, cambierebbe l’intero scenario ricostruito dagli inquirenti e che rappresenterebbe ad oggi una delle colonne portanti dell’accusa a carico di Massimo Bossetti. Questo elemento, quasi certamente entrerà a far parte della discussione nel corso del processo d’Appello in partenza, sostenuta dalla difesa del muratore.