A distanza di 40 anni dalla morte di Giorgiana Masi, uccisa a Roma nel maggio del ’77, all’interno di quello che Francesco Cossiga definì “fuoco amico”. A dare per la prima volta la sua versione dei fatti è il poliziotto Giovanni Santone, che finì nel mirino delle polemiche e che ha raccontato tutto nel libro “Giorgiana Masi. Indagine su un mistero italiano”. La ragazza divenne inoltre un simbolo, ricorda il giornalista e autore Concetto Vecchio, contro quella repressione che veniva attribuita al tempo al Ministro Cossiga. “Il 12 maggio finì tutto per me”, grida con rabbia Giovanni Santone, ripercorrendo i momenti che portarono la manifestazione dei Radicali a finire con la morte di Giorgiana Masi. Il poliziotto seppe solo la sera prima, sottolinea, che si sarebbe dovuto unire alla Digos e nessuno gli disse esattamente come avrebbe dovuto comportarsi. “Eravamo guardie di pubblica sicurezza e come tali non obbligati alla divisa”, ricorda ancora.
Al centro di uno dei focolai che alimentarono lo scandalo, fu infatti un articolo della giornalista Camilla Cederna, che accusò Giovanni Cusano di essere un infiltrato. Secondo il suo punto di vista, Giorgiana Masi venne uccisa quindi da qualcuno che in realtà non avrebbe dovuto esserci. E riguardo a quelle vesti da extraparlamentare che gli attribuirono? Anche in quel caso si tratta di “uno scandalo inesistente”, visto che Santone indossava un maglioncino ed un paio di jeans. Dalla morte di Giorgiana Masi, Marco Pannella tappezzò i muri di Roma con la foto di Giovanni Santone, promuovendo una campagna antiviolenza e promuovendo il disarmo. E’ in quel momento che iniziò l’incubo per l’ex guardia, tanto che venne trasferito a Napoli in tutta fretta. “Lavorerai allo spaccio della questura”, gli dissero. Inaccettabile per Giovanni Santone, che non si riteneva colpevole di nulla.