Valentina, 34 anni, sposata e con una figlia di tre, ha partorito da sola in casa un bambino e poi l’ha buttato dalla finestra della sua casa, al secondo piano di un edificio a Settimo Torinese. Il neonato, trovato da un passante, è morto in ambulanza per le ferite riportate nella caduta; il personale dell’ospedale l’ha chiamato Giovanni.
Poco dopo aver compiuto il suo inspiegabile gesto, Valentina è incuriosita dal trambusto sotto casa sua, si affaccia al balcone; poi si prepara e accompagna a scuola la figlia come se niente fosse accaduto. Ma dopo un lungo interrogatorio confessa di essere lei la mamma di quel bambino e dichiara che non sapeva neppure di aspettarlo, di averlo fatto nascere in bagno e soprattutto di non ricordare altro. Questi i fatti essenziali.
I medici forse potranno spiegare se e come sia possibile che una donna per nove mesi non si accorga di essere incinta, gli psicanalisti indagare quale processo di rimozione sia mai accaduto in una persona alla quale era già noto lo stato di gravidanza, il parto, il bambino da nutrire e da educare.
In attesa che chi ha più strumenti di noi possa comprendere un fatto che appare contro natura (benché purtroppo sia già avvenuto, anche di recente) e che la giustizia umana faccia il suo corso, noi vorremmo spostare lo sguardo sul piccolo Giovanni. Un bimbo non atteso, misconosciuto, buttato via, morto pochi momenti dopo aver visto la luce. Eppure c’è e ci sarà per sempre. In questo senso, come amano dire gli psichiatri, la vita vince. E lo si dice ben tenendo presente l’indicibile dolore che si abbatte sulla sua famiglia e con il cuore colmo di tristezza per una vita intrecciata da subito con la morte e per altre vite che da questa morte saranno inevitabilmente segnate.
Ma, anche se non sappiamo come, continueranno a vivere. Lui accolto dalla tenerezza di Dio. “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”: così dice il Signore attraverso Isaia. Giovanni, il tuo nome è scritto nel cielo: questa certezza vorremmo affermare insieme alla pena per te, per i tuoi genitori, per la tua sorellina. Anche i loro nomi sono scritti nel cielo, come quelli dei piccoli, dei derelitti, dei disperati, dei colpevoli. Sempre si apre la possibilità dell’espiazione, della penitenza e del perdono, anche per chi oggi accusa e inveisce contro una donna forse prigioniera di invisibili grate prima ancora di vedere quelle spesse del carcere, anche per chi con maggiore prudenza attende il chiarirsi del movente e delle intenzioni.
La vita vince. E’ una grande forza questa, forse affermata con troppa timidezza.