Si torna a parlare del delitto di Paola Labriola, la psichiatra uccisa a Bari quasi quattro anni fa, mentre lavorava in un Centro di salute mentale, da un suo paziente. A processo sono finite sei persone, tra cui l’ex direttore generale dell’Asl, Domenico Colasanto, con l’accusa di non aver garantito adeguata sicurezza nella struttura nella quale la vittima lavorava. Nel corso dell’udienza, a prendere la parola è stato il marito di Paola Labriola, Vito Calabrese, il quale ha riferito in aula le confidenze ed i timori della moglie legati proprio al suo lavoro nella struttura. La donna, a detta del coniuge, non si sentiva al sicuro ed aveva paura. E’ quanto emerso dal quotidiano Corriere del Mezzogiorno che riporta oggi le parole del marito della psichiatra uccisa a Bari. “Paola temeva alcuni pazienti e spesso mi parlava dell’inadeguatezza della struttura, della necessità di un adeguato servizio di vigilanza all’ingresso e dell’aggressione subita da una sua collega”, ha riferito il marito della vittima.



Non è un caso se circa un anno prima dell’uccisione di Paola Labriola, nella medesima struttura anche un’altra collega era stata aggredita da un paziente. Da quel momento erano partite le varie segnalazioni alla direzione generale. E’ quanto emerso nel corso dell’ultima udienza del processo al quale ha preso la parola anche il marito Vito Calabrese. La psichiatra barese fu uccisa il 4 settembre di quattro anni fa da Vincenzo Poliseno, 40enne condannato a 30 anni. Contemporaneamente alle indagini sull’omicidio, furono avviati ulteriori accertamenti per valutare le misure di sicurezza interna alla struttura. A carico dell’ex direttore furono ipotizzati i reati di morte come conseguenza di altro reato, omissione di atti d’ufficio e induzione indebita a dare o promettere utilità.

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