La storia di Christina, la bambina dell’Iraq rapita dall’Isis, non avremmo mai voluto raccontarla. Ma vi basti sapere che c’è il lieto fine, un buon motivo per andare fino in fondo all’articolo. La vicenda la riporta la Reuters, ma è destinata a diventare mediatica nel giro di qualche ora. Perché questa bambina dell’Iraq, appartenente ad una famiglia di cristiana e per questo rapita dal villaggio di Qaraqosh nell’agosto del 2014 la mamma e il papà ha potuto riabbracciarli dopo essere stata per 3 lunghissimi anni nelle mani dei terroristi. Il sistema è ben consolidato: le milizie attaccano i villaggi più poveri, poi mettono le persone davanti ad una “scelta”. Possono pagare per ricevere protezione, possono decidere di convertirsi all’Islam per avere salva la vita, oppure morire sgozzate. Christina è stata rapita, troppo piccola per decidere. Nonostante i tentativi disperati di mamma Aida di tenerla vicina a sé. 



Le profonde occhiaie che segnano il suo volto sono la prova che in questi anni ha dormito poco, cullando il sogno di poter un giorno riabbracciare la propria figlia. Quando una telefonata ha avvisato lei e il suo cieco marito che Christina era stata ritrovata nella periferia di Mosul non hanno atteso un attimo per andare a riprendersela. Adesso la loro famiglia è riunita: e non importa se Christina non sa più chi siano i suoi genitori dopo aver trascorso dai tre ai 6 anni insieme agli uomini del terrore. Piano piano, dice mamma Aida, lo imparerà di nuovo e lo farà anche in fretta, se è vero che tenendo in mano un giocattolo di plastica ripete:”Sono con la mia mamma e il mio papà”. Ora la speranza è quella di emigrare, di lasciarsi alle spalle per sempre un passato di terrore: ora vivono in una cabina, la loro casa, a Qaraqosh, è stata distrutta. Ma sono insieme, ed è questo che conta.

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