Il plotone dei lancieri di Montebello e i Corazzieri a cavallo occupano gli spazi del cortile d’onore del Quirinale. L’utilitaria con a bordo Papa Francesco gli passa davanti, pochi minuti dopo le 11. La macchina ha attraversato Roma in una mattinata calda, regalando a Bergoglio la “Grande Bellezza” della capitale. Il presidente Mattarella gli va incontro in una cornice istituzionale addolcita dalla presenza dei bambini arrivati dalle zone terremotate. Sono oltre 300, accompagnati da insegnanti e genitori. Stropicciano i colori italiani e quelli vaticani, mentre sotto il sole cocente applaudono Francesco. Il Papa scende agile, a dispetto degli ottant’anni, e le prime parole che ascolta sono di ringraziamento. 



Inizia così l’undicesima visita di un successore di Pietro nel luogo che ospita la più alta carica dello Stato italiano. Dal 1939, anno in cui Pio XII incontrò il re Vittorio Emanuele, facendo ritorno nel palazzo dei Pontefici dopo un’astinenza di quasi sette decenni, di cose ne sono accadute, a cominciare dalla nascita della Repubblica. 12 i presidenti che si sono succeduti, 8 i papi. La storia ha il suo peso sul colle con la migliore vista sulla cupola di San Pietro, e si percepisce quando la Banda Interforze attacca gli inni e la bandiera vaticana torna a sventolare sul torrino di quella che è stata residenza pontifica per oltre tre secoli. 



Ma a tutta questa ingombrante cornice Francesco è allergico, le memorie che condivide sono altre, mentre gli imbarazzi, che pure hanno determinato altre visite pontificie, sembrano essere stati spazzati via, e non solo dalla leggerezza protocollare imposta dal Papa argentino. La visita di “restituzione” del pontefice dopo quella del presidente Mattarella, in Vaticano, il 18 aprile del 2015, mostra una novità: clericalismi e insofferenze laiciste sono finalmente evaporati. La “normalità” dei rapporti tra Santa Sede e Quirinale, passa nelle immagini del Papa che attraversa i saloni del Palazzo per tre secoli abitato dai predecessori e conversa amabilmente con l’ospite, guardando distratto lo splendore perso nel 1870. 



In quella che più tardi Mattarella definirà la “casa degli italiani”, Francesco sembra a suo agio: nella Sala degli Arazzi la presentazione delle delegazioni, poi il colloquio privato, lo scambio dei doni, la passeggiata tra le stanze e la sosta nella cappella dell’Annunziata, il presidente e il pontefice affiancati, in preghiera. Immagine inedita, impensabile fino a pochi anni fa senza strascichi sulla laicità insidiata da un segno di croce compiuto quasi all’unisono, sotto lo sguardo della Madonna del cucito di Guido Reni. Immagine pittorica straordinaria, con la Vergine che tira l’ago con il filo, simbolo di fatica quotidiana e familiare, quasi nascosta nella sua ordinarietà. 

Un affresco che può diventare l’icona dell’ennesimo incontro tra gli inquilini dei due colli: persone abituate a lavorare come artigiani, anche se con stili diversi, alla costruzione del bene comune. Si è visto nei discorsi pronunciati nel salone dei Corazzieri: simmetria nei temi, corrispondenza nei toni, sintonia nell’indicare le priorità. Immigrazione, lavoro, terrorismo internazionale le questioni sollevate da Mattarella con un invito pesante alla responsabilità di chi è chiamato ad esercitare pubblici poteri. 

Il riconoscimento degli sforzi compiuti dal Paese nell’emergenza immigrazione accanto al richiamo per un’azione internazionale più incisiva ed ampia, nel discorso del Papa, dominato dalla preoccupazione per la questione lavoro. Con Francesco che ancora una volta si fa voce del popolo e del suo bisogno di essere ascoltato dalle istituzioni. Due uomini saggi, umili e decisamente convergenti nella visione dell’Italia del futuro. Quella dei bambini passati attraverso la paura del terremoto, ma capaci ancora di sorridere e gridare nei giardini del Quirinale, abbracciando quei due nonni a cui sta a cuore il loro destino.