La madre non c’era, ai funerali del piccolo Giovanni. Morto dopo i primi respiri, chissà se ha avuto il tempo di un pianto. Chissà se ha aperto gli occhi, se ha visto sua madre avvolgerlo in un panno e gettarlo giù dalla finestra. Chissà cosa passa nella mente di un neonato che agonizza, in mezzo alla strada, al buio, chissà se si è reso conto del tempo, e quanto tempo è passato, prima che mani pietose lo raccogliessero e cercassero di tenerlo stretto alla vita. Se l’imprinting conta anche per le persone, il piccolo deve aver sentito tanto amore, intorno a sé, dopo il gelo di quello strappo da un ventre che non voleva riconoscerlo, non aveva messo in conto il suo essere.



La madre guardava da quella finestra, mentre i soccorsi increduli e inorriditi accorrevano su quel marciapiede, via residenziale di Settimo, periferia di Torino. Non è nemmeno la storia usata di qualche donna sbandata – un’immigrata, una zingara, avrà pensato la gente – perché la madre, poi sentita e spinta a confessare dalle forze dell’ordine, è italiana, lavora, ha un’altra figlia, e come niente fosse dopo il parto segreto si è preparata per portarla all’asilo. Follia? Forse. O forse il male, che è così banale da insinuarsi nei barlumi di pensiero di una madre, e renderla un’assassina.



Avrà pensato: è mio, l’ho fatto io, ne faccio quel che voglio. Non lo voglio, lo butto via. Purtroppo, è quel he capita in tanti ospedali, prima ancora che i neonati vengano alla luce. E a nessuno viene in mente di parlare di assassinio. Forse la madre di Settimo è una donna disturbata, forse è sola, disperata, forse. Quante donne lo sono, e trovano conforto e sostegno. Possiamo giustificare qualunque atto di morte, se proprio ci impegniamo, senza esserne convinti, senza accantonare l’amaro di una narrazione che ci sembra incompleta e ingiusta, irragionevole. È più semplice credere a un Male così potente da obnubilare la ragione, e renderci belve, incapaci di pietà e cuore, concentrati solo sul nostro prorompente egoismo, che ci fa schiavi. Non lo voglio, lo butto. Poteva pensarci prima, avranno pensato in tanti, l’aborto è legale. Senza riflettere che sarebbe stata la stessa identica cosa.



Ma la morte di Giovanni non è stata vana, e le parole del sacerdote che ha celebrato la Messa funebre per lui suonano così nuove e cariche di speranza, di tenerezza. Giovanni, ha detto a una chiesa piena di popolo, commosso e attonito, il tuo nome è scritto nel cielo. Non importa se non te l’hanno dato i tuoi genitori, ma ti è stato donato da sconosciuti padri e madri che ti hanno trasmesso il loro bene, e affidato al santo protettore di Torino. Giovanni, sei vissuto pochi attimi, e guarda quanto amore hai saputo generare, intorno alla tua esile vita. Guarda, piccolino, dal cielo dove certo vedi la gloria e godi la vita piena, come sei riuscito a far piangere, pensare, muovere gli animi induriti; quante domande ci metti in testa, quanta pena e partecipazione.

Non ci sono parenti, in chiesa, che preghino per te. Non hai parenti, ma tutta la comunione dei santi è con te. Quelli lassù, dovunque sia il lassù da cui ci guardi. E quelli quaggiù, che hanno pregato intorno alla tua bara bianca coperta di fiori, e hanno portato pure i loro bambini, senza aura di contaminarli con la morte. Giovannino, tu mostri a un pezzo di mondo di borgata, e da qui a tanti che leggono la tua storia, che nessuna vita è inutile o sprecata. Tu hai un compito grande, vegliare sula tua sorellina, che nulla ha saputo di te. Non ha accarezzato una pancia accogliente, trepidando per vederti in viso. È rimasta sola, una mamma in carcere, inconsapevole, indifferente, per ora. Si capirà se per pazzia o durezza. Ma tu puoi pregare anche per lei, per questa madre che si è dimenticata di te. Ricordandoci che abbiamo una Madre e un Padre che di noi non si scordano mai.

Se il male è orrendamente banale, e sfonda ogni giorno la nostra serenità, il bene non lo è mai: il bene è stupefacente, si irradia, apre, genera lacrime e sorrisi, e forza. Chissà che quella comunità stordita grazie a te non si stringa intorno a quel bravo parroco, cogliendo nelle sue parole la grazia di una fede che trasforma gli uomini e vince la morte. Grazie di esserci, prega, e perdona.