La notizia è così assurda da essere vera. Ed è così vera da essere assurda. Non per niente ci hanno aperto tutti i tiggì e furoreggia sui siti con i ricami del caso. Il fatto è ormai noto: il letto di una paziente all’ospedale San Paolo di Napoli è stato rifatto con lenzuola infestate da formiche e la scena, immortalata in una fotografia scattata dai parenti, ha fatto in un baleno il giro della rete.



Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, apre un’inchiesta per accertare le responsabilità. Il governatore della Regione Vincenzo De Luca ammette che la sanità in Campania è un disastro e aggiunge, calcando gli accenti, che per troppi anni è stata penalizzata dalla politica politicante inquinata da delinquenti, camorristi, affaristi. Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris definisce l’accaduto inaccettabile, inqualificabile e grave. Nella polemica s’infila anche il segretario della Lega Matteo Salvini che si augura il licenziamento dei responsabili.



Bene, andata in onda l’indignazione collettiva occorre adesso capire come sia possibile che certe cose accadano. Pare che i teli fossero conservati in ambienti interessati a lavori di ristrutturazione e che, per di più, ad attirare gli animali contribuisse una sacca di glucosio necessaria alla terapia. La ricostruzione è ancora confusa ed è difficile raccapezzarsi.

Il direttore sanitario, Vito Rago, è in carica da venti giorni. È proprio sfortunato e, inutile dirlo, dispone un’indagine interna per stabilire l’andamento delle cose e attribuire le responsabilità di chi ha agito malamente e di chi non ha vigilato. La scena è così ghiotta che scatta la corsa alla condivisione. Gli ingredienti del drammone ci sono tutti e poi c’è Napoli a fare da sfondo naturale: se non qui, dove mai sarebbe stato possibile che si verificasse un evento del genere?



Eppure, in mezzo a lestofanti patentati e ignobili arricchiti sulla pelle di chi ha bisogno di cure e di conforto, si consuma il lavoro di tanti medici e altrettanti infermieri che operano con generosità in condizioni proibitive rendendo possibile apprestare cure che in altre parti sarebbero negate. È vero che la nobiltà di una parte non può giustificare la miseria dell’altra. Ma in questa storia cosi sbilanciata a sfavore della reputazione partenopea ci sta pure il tentativo di riscattarne l’onore.

Soprattutto in considerazione del pistolotto moraleggiante sull’assenza di cultura della legalità nell’ex capitale borbonica che giunge con puntualità sospetta dal Censis, dove si conferma che la trave (in questo caso familistica) piantata nel proprio occhio non impedisce d’indicare la pagliuzza che compare in quello degli altri.