Chiunque abbia conosciuto nel corso della propria vita una persona affetta da autismo sa bene come un normale contatto possa essere percepito dal soggetto in questione come un’invadenza, un fastidio. Lo stesso vale per una manifestazione d’affetto spontanea come l’abbraccio, anch’esso vissuto negativamente dall’autistico, che per questo motivo vede complicarsi il suo processo di integrazione all’interno della società. Ma come si spiega tutto ciò? Alcuni ricercato dell’Università della California hanno spiegato in un articolo pubblicato su The Journal of Neuroscience, di aver scoperto i meccanismi che scatenano quella che viene definita comunemente difesa tattile nel modello animale. Studiando il circuito cerebrale sottostante a questo sintomo in un gruppo di topi con un disturbo dello spettro, i ricercatori hanno notato che in una parte di neuroni collocati in una sottoarea della corteccia somatosensoriale si assisteva ad una risposta esagerata rispetto a quella dei topi sani. Queste risultanze potrebbero essere utilizzate per individuare nuovi bersagli terapeutici per contrastare questo aspetto dell’autismo.



La ricerca pubblicata su The Journal of Neuroscience sull’autismo, promette di riuscire a combattere con efficacia la cosiddetta difesa tattile, il fenomeno per cui chi è affetto da questa malattia mal sopporta quasi ogni tipo di contatto. I firmatari della scoperta sul modello animale sono Cynthia X. He, Daniel A. Cantu, Shilpa S. Mantri, William A. Zeiger, Anubhuti Goel e Carlos Portera-Cailliau. Per quanti non conoscessero questa malattia, l’autismo rientra fra i disturbi pervasivi dello sviluppo, cui fanno parte, fra le varie altre sindromi, anche la sindrome di Asperger, la sindrome di Rett e il disturbo disintegrativo dell’infanzia. L’autismo si caratterizza per la compromissione dell’interazione sociale e per la presenza di deficit della comunicazione, verbale e non, da cui scaturiscono ristrettezza d’interessi e comportamenti ripetitivi. I primi sintomi vengono notati dai genitori del bambino di solito entro i primi 2 anni di vita: la diagnosi può avvenire già al trentesimo mese. 

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