Ricorre il trentacinquesimo anniversario della morte del “Banchiere di Dio”, Roberto Calvi, ritrovato impiccato a Londra, sotto quello che viene chiamato il Ponte dei Frati Neri, il 18 giugno del 1982. Una fine misteriosa di cui in realtà si è parlato tanto: si capì subito che non si trattava di suicidio, per il punto impervio in cui il cadavere fu ritrovato, con mattoni nelle tasche e milioni in valuta francese, americana e britannica. Dopo la Guerra e la Campagna di Russia entrò nel Banco Ambrosiano nel 1947. Nel 1971 ne divenne direttore, quattro anni dopo presidente. Da lì, un turbinio di potere ed un giro di soldi travolgente. Calvi entrò a far parte della loggia P2, iniziò a curare affari probabilmente più grandi di lui e a rincorrere i soldi del buco del Banco Ambrosiano tramite lo IOR di Paul Marcinkus. Ne nacque un giro perverso di valuta che di fatto rappresentò la fine per il Banco Ambrosiano e, successivamente, anche per Roberto Calvi.



Calvi si era ritrovato a dover coprire un buco notevole per il Banco Ambrosiano, dei quali molti soldi erano transitati dalle casse dello IOR di Marcinkus. Ne nacque un giro di denaro su conti offshore all’estero in cui i soldi venivano sapientemente riciclati e immessi in circolazione di nuovo nelle casse del Banco Ambrosiano. I soldi di Calvi finivano nelle mani dello IOR che a sua volta comprava azioni del Banco, oppure li spostava in paradisi fiscali, tramite società di intermediazione finanziaria con sede a Panama. Quindi, i soldi venivano restituiti dallo IOR, perfettamente “lavati”, con le garanzie che venivano fornite dallo stesso Banco Ambrosiano. Un triangolo da centinaia di milioni dell’epoca che apparentemente coprì il buco (con Calvi che aveva anche pressioni da parte della mafia e della stessa loggia P2) ma che in realtà spianerà la strada al crack del Banco Ambrosiano, per il quale Roberto Calvi sarà condannato a 4 anni per reati finanziari.

Nel 1982 il disavanzo finanziario del Banco Ambrosiano arrivò a toccare i 1400 milioni di dollari americani, e Roberto Calvi probabilmente iniziò a temere per la sua vita. Da lì nacque la decisione di indirizzare una lettera all’allora Pontefice Giovanni Paolo II. Una disperata richiesta d’aiuto in cui Calvi raccontò di essere sottoposto a enormi pressioni da parte di chi voleva confessasse come il Vaticano fornisse denaro nelle Guerre contro i paesi socialisti, e in particolare come il movimento Solidarnosc in Polonia fosse stato aiutato dalla Chiesa. Calvi sparò alto con le sue rivelazioni, ma la sua richiesta d’aiuto non andò a segno. Venne ritrovato impiccato ma per il suo omicidio vennero condannati successivamente diversi criminali di spicco dell’epoca, dal cassiere della mafia, Pippo Calò, a Ernesto Diotallevi, uno dei boss della Banda della Magliana. Ma sui mandanti e le reali motivazioni dell’omicidio di Roberto Calvi, a 35 anni di distanza l’alone di mistero persiste.