La difesa di Alberto Stasi, accusato del delitto di Garlasco e per questo in carcere, ha posto l’accento soprattutto sul fatto che molti dei testimoni importanti non siano stati riascoltati nell’ambito del processo ora contestato dal giovane. Grande importanza, come sottolinea il settimanale Giallo, ha avuto in particolare la testimonianza di Franca Bermani, l’anziana donna che disse di aver visto davanti all’abitazione di Chiara Poggi, uccisa nell’agosto di dieci anni fa, una bici, proprio nei momenti in cui sarebbe avvenuto il suo omicidio. Quella mattina la donna era andata a casa della figlia che si trova proprio di fronte alla villetta dei Poggi. Quando arrivò, intorno alle 9:10, la testimone ha sempre raccontato di aver visto una bici nera da donna vecchio modello, ma nuova, della quale ne fece un’attenta e precisa descrizione senza trascurare alcun dettaglio. Quando uscì di casa, alle 10.20, la bici non c’era più. Nel processo di primo grado, la Bermani escluse categoricamente che quella da lei vista fosse la bici di Alberto Stasi, eppure la donna non è più stata riascoltata, come mai?
Anche su questi dubbi punta ora la difesa del giovane detenuto nel carcere di Bollate, la quale con un ricorso speciale ha chiesto alla Cassazione un nuovo processo per il proprio assistito. Sempre nel processo contestato, inoltre, è apparsa un’altra bici in uso alla famiglia Stasi, nera e da donna ma differente rispetto alla descrizione fornita dalla signora. Nonostante questo, il giudice non ritenne utile mostrargliela né chiederle un parere in merito. La teste divenne improvvisamente inattendibile circa i dettagli che fino a quel momento aveva fornito e fu lo stesso giudice a decretare, pur senza ascoltarla, che la donna non avesse ricordato bene. La risposta della Cassazione in merito alle richieste della difesa di Stasi, è attesa per il prossimo 27 giugno e potrebbe rappresentare un nuovo colpo di scena nell’ambito del caso sul delitto di Garlasco.
Il delitto di Garlasco, nel quale perse la vita Chiara Poggi il 13 agosto 2007, potrebbe non essere un caso chiuso. Ne è convinta la difesa di Alberto Stasi, fidanzato della vittima ed accusato del suo omicidio, nonché condannato a 16 anni di reclusione in via definitiva. I suoi difensori non si arrendono ed anche dopo gli ultimi retroscena che ha avuto la vicenda, non hanno intenzione di abbassare la guardia, annunciando di contro nuove iniziative in vista al fine di dimostrare l’innocenza del proprio assistito.
A tal proposito, l’avvocato Giada Bocellari e che lavora in difesa di Alberto Stasi, è intervenuta nuovamente sulle pagine del settimanale specializzato in cronaca nera, Giallo, anticipando: “Noi non ci arrenderemo mai, prenderemo tutte le iniziative giudiziarie necessarie a dimostrare l’innocenza di Alberto Stasi”. Il loro obiettivo, dunque, è quello di giungere alla verità sull’omicidio di Chiara Poggi, dal momento che, a detta della difesa di Stasi, il processo a carico del giovane sarebbe stato ingiusto: “Bisogna trovare il modo per rimediare”. Ma sulla base di cosa il processo che ha portato alla condanna definitiva per Alberto Stasi sarebbe da definirsi ingiusto?
Secondo l’avvocato Bocellari, i testimoni e le prove che in primo grado avevano portato alla sentenza di assoluzione, in Appello sarebbero stati totalmente ignorati. “E’ uno sbaglio!”, tuona oggi il legale, che chiede a gran voce il ritorno di Stasi in libertà e soprattutto un nuovo processo d’Appello. Per tale ragione, come emerso solo nei giorni scorsi, nel dicembre 2016 la difesa di Alberto Stasi ha presentato una richiesta straordinaria ai giudici della Cassazione affinché possano eseguire gli accertamenti sulla conduzione del processo in secondo grado, sospendendo la pena a carico di Alberto Stasi ed ordinando un nuovo processo purché sia equo.
Il primo processo che si è svolto nel 2009, come sappiamo, si concluse con una sentenza di assoluzione, così come in secondo grado, mentre in Cassazione emersero alcuni dubbi che portarono all’annullamento dell’assoluzione ed affidarono la decisione ad un nuovo giudice, che condannò Alberto Stasi a 16 anni di reclusione. È quest’ultimo processo quello che oggi il giovane e la sua difesa contestano con forza, denunciando il fatto che i giudici si rifiutarono di riascoltare alcuni testimoni i quali avrebbero potuto contribuire all’assoluzione definitiva del ragazzo, all’epoca dei fati fidanzato della vittima Chiara Poggi. I difensori di Stasi hanno riportato i loro nomi nel ricorso straordinario presentato lo scorso dicembre.
I testi non riascoltati sono per l’esattezza: i consulenti che svolsero le varie perizie sul sangue, sull’ora della morte di Chiara e sulle suole delle scarpe dell’accusato; i carabinieri che per primi entrarono nella villetta di Garlasco, gli operatori del 118 ed i vicini di casa Poggi, in particolare Franca Bermani, la donna che asserì di aver visto una bici davanti all’abitazione divenuta il luogo del delitto, proprio nei momenti in cui, secondo le indagini, la povera Chiara Poggi veniva uccisa. La sua testimonianza in particolare, avrebbe potuto realmente contribuire a cambiare il destino di Alberto Stasi, che dal carcere di Bollate nel quale è detenuto continua a ribadire con estrema ostinazione la sua totale innocenza.