È grave l’escalation che sta prendendo piede in Siria dopo l’abbattimento del jet pro-regime da parte della coalizione Usa, il nuovo casus-belli che fa ripiombare Usa e Russia in atteggiamenti da guerra mondiale. Un segno di questi rapporti ancora una volta “schiacciati” arriva dal Cremlino, dove l’azione di Trump non è piaciuta per nulla: «Mosca ha interrotto il canale di comunicazione diretto con Washington per il controllo dello spazio aereo siriano, in risposta all’abbattimento di un Su-22 siriano da parte dell’aviazione statunitense», l’azione russa annunciata lunedì diviene operativa e dunque confermata da oggi. Latere, Mosca chiede a Washington di compiere una indagine interna al comando Us per riferire quanto accaduto, specie sulle misure adottate nell’abbatimento del jet siriano. La nota fa da cornice all’uscita di ieri con Putin che da ora ritiene possibili bersagli gli aerei Usa e della coalizione a ovest del fiume Eufrate, di certo non il modo migliore per arrivare ad un accordo sul destino dello Stato Siriano post-Isis (che intanto va ancora abbattuto).



«L’abbattimento di un jet dell’aviazione siriana nello spazio aereo siriano è una cinica violazione della sovranità nazionale di quel paese, recita un comunicato del governo russo. Le ripetute operazioni di combattimento contro le forze armate di uno Stato sovrano con il pretesto della lotta statunitense al terrorismo sono una violazione flagrante del diritto internazionale, oltre a rappresentare un’effettiva aggressione militare contro la Siria», conclude la nota di Mosca. (agg. di Niccolò Magnani)



Le tensioni si allargano e non è più ormai la “sola” Corea del nord a spaventare le due potenze mondiali più forti, Usa e Russia: dopo l’abbattimento ieri del jet siriano a Raqqa, durante l’offensiva della coalizione Usa contro lo Stato Islamico, il Cremlino prosegue nei suoi proclami di forte preoccupazione per le azioni Usa spesso “sconsiderate e pericolose”, ritiene il Ministero della Difesa di Mosca. L’Isis è messo nell’angolo a Raqqa ma con le tensioni tra Usa e Russia da un lato e il nuovo “fronte” dell’Iran dall’altro rendono i prossimi mesi di difficile lettura e comprensione.



È di oggi infatti la notizia, riportato da Michele Raviart per Radio Vaticana, del lancio di sei missili balistici dalla capitale iraniana verso le zone controllate dall’Isis nell’est della Siria, a Deyr az Zor. Due settimana l’attentato in pieno Parlamento di Teheran fece 17 morti e il regime iraniano giurò vendetta immediata contro lo Stato islamico. Il tutto si aggiunge alla situazione già complessa per i tanti protagonisti in scena sullo scacchiere (di sangue) siriano, dopo Usa, Russia, Turchia, Curdi, ribelli anti-Assad, Onu, Gran Bretagna e ora anche Teheran. (agg. di Niccolò Magnani)

È morto purtroppo lo studente Usa che la Corea del nord aveva rilasciato pochi giorni fa dopo 17 mesi di carceri del regime di Kim Jong-un. Otto Warmbier non ce l’ha fatta: è stato consegnato praticamente in coma, dopo essere stato condannato perché avrebbe provato a rubare un manifesto della propaganda. Una bravata costata a caro prezzo e che ora gli Stati Uniti sentono come un’ennesima prova della brutalità e pericolosità del regime nordcoreano, in uno scenario di continua minaccia per la cosiddetta terza guerra mondiale nel Pacifico. Donald Trump ha immediatamente condannato la morte e le condizioni in cui Otto è stato rilasciato da Pyongyang: «il destino di Otto aumenta la determinazione della mia amministrazione a impedire che persone innocenti affrontino tali tragedie per regimi che non rispettano lo stato di diritto o la decenza umana di base. Gli Stati Uniti condannano ancora una volta la brutalità del regime nordcoreano mentre piangono la sua ultima vittima», ha fatto sapere il presidente Usa dalla Casa Bianca in un comunicato congiunto con la first lady Melania. (agg. di Niccolò Magnani)

Isolata dal resto del mondo e punita con diverse sanzioni, la Corea del Nord sta comunque aumentando il suo potere distruttivo, rappresentando una minaccia per quanti vogliono scongiurare lo scoppio di una Terza guerra mondiale. E quindi rappresenta un pericolo per i suoi vicini e per la pace mondiale. Lo dimostrano due mappe pubblicate dalla rivista The Atlantic, secondo cui i missili e Scud possono colpire tutta la penisola coreana, mentre i No-dong potrebbero colpire Tokyo e le basi militari americane nell’area. Non è un caso che in Giappone ci siano più soldati americani che in ogni altro paese del mondo: sono distribuiti in sei strutture, tra cui quella di Okinawa, che ne accoglie 54mila. La dislocazione delle forze del regime, inoltre, è rivolta al confine con la Corea del Sud. Pyongyang vanta nel suo arsenale 4.200 carri armati, più di 800 aerei da combattimento e 70 sottomarini.

Ricerche recenti, invece, sostengono che la Corea del Nord riuscirà a sviluppare un missile armato di testate nucleare entro il 2020. Post Internazionale ha illustrato gli scenari di una Terza guerra mondiale: se Pyongyang dovesse attaccare, gli Stati Uniti farebbero valere la loro superiorità tecnologica spaziale, riuscendo a notare i movimenti preparatori avversari. D’altra parte Washington con il supporto del Giappone potrebbe decidere di bombardare preventivamente l’area per impedire il lancio. Se avvenisse comunque, gli Stati Uniti cercherebbero di abbatterlo in volo, sebbene si tratti di un’operazione di enorme difficoltà. Ma , il sistema missilistico recentemente dislocato in Corea del Sud dalle forze armate americane, è stato progetto proprio con questo obiettivo. Scenari che però ci auguriamo non riescano mai a concretizzarsi. È questo lo scopo delle diplomazie internazionali, a lavoro per mantenere stabile quello che è ormai diventata un precario scacchiere internazionale.