Quello degli esami di maturità è ormai diventato un fenomeno mediatico: telegiornali, radio, siti internet ci dedicano spazio e tempo; commentatori più o meno illustri vengono chiamati a dare il loro giudizio sulle tracce proposte per gli scritti; i diretti interessati, insegnanti e studenti dal volto più o meno provato, vengono assaliti da intervistatori e cameramen all’uscita dalla scuola e anche il cinema fa e farà tesoro di quanto illustrano le cronache. Una certa curiosità, per lo più superficiale e spettacolarizzata, circola dunque intorno a questo fenomeno. 



Cosa raccontano le tracce dei temi di quest’anno? Una splendida selezione di testi letterari, dal Caproni di Res Amissa per l’analisi del testo; al Leopardi, al Foscolo, al Pascoli e al Montale accompagnati dalle atmosfere di Turner e Pellizza da Volpedo per il tema artistico letterario. Si passa poi, per il tema socioeconomico, agli stralci da quotidiani e settimanali che invitano ad abbracciare la rivoluzione digitale, a guardare con favore l’opportunità che i robot rappresentano; ripetuti e triplicati per il tema tecnico scientifico che lancia, e si sbilancia, con la parola d’ordine di una robotica dal volto umano. Per la storia e la politica disastri e ricostruzione e il miracolo economico. Colpisce anche il tema di ordine generale che, se non mi inganna la memoria, per la prima volta fornisce anche una traccia orientativa per il suo svolgimento, veri e propri consigli allo studente per sviluppare il suo scritto (ma sarà normale?). 



Io non posso soffermarmi dettagliatamente su ciascun tema proposto, anche se mi viene la tentazione di ringraziare finalmente per un testo poetico di uno scrittore così vicino a noi (ma da quanti professori conosciuto, per esempio? E quindi da quanti proposto ai loro studenti? Ma va bene lo stesso, anche se il programma continua ad arrivare al massimo fino a Montale, va bene che venga chiesto di misurarsi su un testo e su un autore non conosciutissimi in ambito scolastico, perché gli studenti possono e devono spendere quanto sanno sul nuovo). Io non posso soffermarmi dettagliatamente, ma mi viene la tentazione di abbracciare idealmente chi ha messo lì Turner e Pellizza da Volpedo accompagnati da testi enormi e straordinariamente suggestivi di maestri del pensiero e della parola. 



Allora, cos’è che non va in queste proposte? Cos’è quest’aria pesante e torbida che alla fine della lettura di tutte le tracce ci rimane intorno e nei polmoni? Cos’è questa sensazione di disorientamento dalla quale si è presi rileggendo i documenti proposti per i diversi ambiti? 

La prima cosa che mi pare evidente è che questa successione di testi fotografa non tanto il paese reale in cui viviamo, quanto piuttosto la scuola irreale che in esso vivacchia: c’è uno strabismo della scuola italiana che viene confermato da questi temi, dalla modalità con cui vengono proposti. E’ quello che si riscontra anche nelle indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo: premesse in cui si ricorda la centralità della persona, della cultura, della cura di sé e poi sviluppo di programmi in cui quella centralità viene dimenticata, messa al bando, quasi. 

Questo strabismo è anche una dicotomia, una schizofrenia, una lotta che continua a perpetrarsi tra l’umanesimo e la scienza? Tra il pensiero e la tecnica? Parrebbe di sì, come se in qualche recondito segreto cuore della scuola venisse coltivato il desiderio di mantenere il ruolo di luogo di elaborazione culturale, ma non potesse essere confessato, perché intanto il progresso avanza, costruisce, lui sì, le magnifiche sorti dell’umanità. Ma allora perché Caproni? Quello che resta lo fondano i poeti, diceva Hölderlin: ma non si può dirlo e poi non crederci fino in fondo; non si può senza tradire non solo Caproni e gli altri che sono stati così intelligentemente tirati in ballo, ma anche senza tradire il nucleo ancora vivo della scuola italiana. Che è tale perché ancora, dalle elementari ai licei, con buona pace di tutti i robot, guarda in faccia uomini piccoli che crescono.

Sarebbe bello, sulla traccia di questi temi, ripensare il rapporto tra l’uomo e la natura, ripensare il rapporto tra la scuola e la natura, cioè la realtà. Non c’è lo spazio, ma per una volta, e per sempre, ascoltiamo i poeti anche quando come Caproni ci dicono, sbagliando, che la terra potrebbe tornare ad essere bella una volta che l’uomo fosse scomparso. Anche lui lo sa, come tutti gli altri citati, che così non potrebbe essere mai, perché è necessario uno sguardo che accolga la realtà perché la bellezza ci sia e sopravviva. E’ della nostalgia di questo sguardo che parla Caproni, è da questa nostalgia che la scuola dovrebbe partire, è per questa nostalgia che noi tutti dovremmo ricominciare.