La vicenda di Lara Bombonati porta di nuovo in luce il fenomeno dei foreign fighters. Secondo i dati dell’ultima relazione della nostra intelligence sarebbero cinquanta i nostri connazionali impegnati tra gli jihadisti in Siria e in Iraq e solo il 20 per cento di essi sarebbe figlio di immigrati. I ragazzi, reclutati attraverso il web, prendono il nome di “foreign fighters” perché sono “i combattenti stranieri” della Jihad; accanto a loro, in Italia, ci sarebbero altri duecento giovani convertiti alla guerra santa che, senza divenire veri e propri combattenti, ricoprirebbero però il ruolo di intermediari tra l’Europa e i teatri di conflitto in Medio oriente.



Sono ragazzi per lo più maschi tra i 28 e i 25 anni e abitano in città come Brescia, Torino, Milano, ma anche Ravenna, Bologna, Padova, Roma e Napoli. E sono pericolosi. Il fatto che Lara sia donna aggiunge ulteriore sconcerto a questo quadro sconvolgente. Perché quando pensi a una donna te la immagini delicata custode della vita, non con il mitra imbracciato e bombe indossate pronta a farsi esplodere per uccidere il maggior numero possibile di persone. 



Perché questi giovani decidono di asservire un’ideologia violenta e sanguinaria come quella dell’Isis? Credo che la parola follia vada usata, ma non credo sia l’unica chiave di lettura. Crisi religiosa e di fede nel nostro paese un tempo cattolico? Crisi di valori? Mancanza di lavoro? Disagio socio-familiare? Mi sembra che tutte queste ipotesi possano assumere il valore di concause ma senza giungere a spiegare decisioni così aberranti. Documentandomi su questa vicenda mi ha colpito più di tutto che i foreign fighters vengano “rapiti” e manipolati attraverso il web. Significa passare ore, giorni, con internet aperto seguendo una escalation di siti saturi di violenza ideologica della peggior specie. Dove non si distingue più il confine tra l’attentato da videogioco da quello vero che fa morti vere. 



Significa però, sopratutto, stare davanti al computer da soli per moltissimo tempo. A me questa modalità parla di una solitudine agghiacciante. Mi racconta di una vita che ritiene di essere condannata all’anonimato inutile e qualsiasi e che invece crede d’un tratto di poter essere, grazie all’Isis, quella di un eroe. Grazie a internet diventi qualcuno che con un solo gesto può cambiare il mondo e soprattutto divenire immortale nella fantasia malata di una compagine di fanatici, riscattando la propria vita mediocre e insignificante. Il fenomeno di questi volontari pazzi è un fenomeno sempre accaduto con le guerre e l’Isis è una guerra, la terza guerra mondiale non dichiarata, la chiama il Papa. Ci sono stati in passato ragazzi che andavano al fronte sinceramente convinti che la guerra fosse “l’unica igiene del mondo”, l’unico modo per cambiare le cose, diventare qualcuno e cominciare daccapo. La differenza tra i volontari “normali” e i foreign fighters è che mentre i primi vanno in uno scenario di guerra che è “il fronte” e ci vanno da soli, questi uccidono e coinvolgono noi, gente qualsiasi. Prendendo atto che un’aliquota di folli è purtroppo fisiologica, possiamo chiederci se esiste un modo di reagire costruttivamente. Credo che la risposta sia scoprire che il mondo migliora davvero non grazie agli eroi di un giorno, agli eroi delle azioni eroiche, ma agli eroi della vita quotidiana costruita giorno per giorno per migliorare il possibile della propria vita. Come disse qualcuno, se ciascuno spalasse la neve davanti alla propria porta di casa i marciapiedi di un’intera città diventerebbero transitabili da tutti.