Ho visto Domenico Diele solo nella fiction 1992 e 1993. Bravo, interpreta bene la parte di un ragazzo solo, triste, malato che cerca conforto e affetto, più che rincorrere un giustizialismo che non lo appaga. Interpreta bene se stesso, ora lo so. Un giovane uomo malato, perché la dipendenza dall’eroina è una malattia. Non sto cercando giustificazioni all’omicidio di cui è colpevole, e si è dichiarato colpevole. Che fosse sotto l’effetto di droghe o distratto dal cellulare, la sostanza non cambia, per quella povera donna, per quel povero padre privato dell’unico conforto e bene, una figlia. E non deve valere per lui un’indulgenza che non avremmo per altri, più sconosciuti o balordi. Caso mai, si vorrebbe da un personaggio noto maggior responsabilità, maggior rispetto delle regole, a fronte dei privilegi ricevuti. 



Però ci sono alcune note che soffiano nella mente, e forse non è bene tacere. Innanzitutto, un personaggio celebre, un uomo di spettacolo, un attore, non è affatto detto che sia un privilegiato, che sia più felice e più amato, anzi. In quell’ambiente, da sempre e tuttora, le tentazioni, e i cedimenti alle tentazioni per placare l’ansia, la competizione, sono tragicamente abituali. Un conto è vantarsene in festini da sballo, con strafottenza, un conto è ammettere la propria debolezza, la propria miseria, che è un grido, tardivo certo, ma evidente, di aiuto. Comodo, si dirà, chiedere perdono per evitare la galera. Non credo sia opportunismo, lo strazio davanti all’orrore per il male commesso, non così, presto e con accorato dolore. Tutti possono fingere, e sarà arduo compito degli inquirenti accertarlo, ma a pelle le sue parole mi paiono sincere, e drammaticamente vere. Non sono un assassino, sono colpevole, non posso ripagare in alcun modo la tragedia, ma ditemi se posso, come posso, aiutatemi. 



Avremmo la stessa attenzione, la stessa pena per la sua vita se si trattasse di un ignoto automobilista notturno? Forse no, ma dovremmo averla. E qui dico una cosa impopolare: non mi piace questa legge sull’omicidio stradale. E non perché non si tratti di una colpa netta, quando la non osservanza delle regole porta morte. E non per un ignobile disinteresse per la sorte delle vittime, durato tropo tempo. Ma perché non c’è una legge sola buona per giudicare ogni uomo, e se le leggi ci devono essere, vanno temperate, valutate guardando negli occhi chi hai di fronte. C’è la distrazione, che è una colpa; la stanchezza, che è una colpa, perché si può comprendere e prevenire; c’è l’accidente, l’abbaglio, che colpe non sono; c’è la malattia, psicologica, la dipendenza, che non sono colpe, ma lo diventano se non sono confessate e fatte curare. Ma si tratta di situazioni ben diverse, che non riducono il colpevole a un omicida. E se così viene giudicato, non è il carcere a ricondurre a coscienza un colpevole, in questi casi, ma la severità di un percorso che lo porti a prendere coscienza, e cambiare vita. Un percorso lungo, e nel silenzio mediatico. Sarà magari anche il carcere, in rare occasioni, ma non vedo purtroppo molti detenuti che escano migliori e ravveduti dalla galera. 



Vogliamo allora far finta di nulla, e permettere al giovin attore di tornare al suo mestiere? Ovviamente no. Forse vorremmo provare ad ascoltare il suo grido, e aiutarlo, ad uscire dalla dipendenza, a riscattare la sua colpevolezza con opere buone, impedendogli di guidare, sicurando che paghi il dovuto alla famiglia, che non potrà comunque essere ripagata, neppure dalla vendetta. Il giustizialismo che impera e ci rende intransigenti e cattivi non ci assicurerà mai dall’imprevisto, dalla possibile colpa. Oggi alla guida mi è capitato più volte di pensare se non avessi frenato a tempo, se mi fossi svagata un attimo, se avessi maleddettamente risposto a quella telefonata, se non avessi avuto il sole negli occhi… Ringrazio, ogni volta potrebbe capitare un incidente, e non capita, perché so che non tutto dipende da me, neppure dalla mia cattiva volontà. Siamo intransigenti con gli altri, e con chi è famoso di più. Non lo saremmo se si trattasse di noi. 

Bisognerebbe che giudici sensibili e retti considerassero Domenico Diele solo un ragazzo qualsiasi, senza essere costretti a una maggior severità perché il suo nome e il suo volto fanno capolino in televisione, senza chiudere un occhio per i medesimi motivi. E non permettere a nessuno di perdere la speranza, che se si è dato all’eroina ha fin troppo perduto.