Il diritto del soggetto a scegliere quando interrompere la propria esistenza costituisce da tempo una richiesta costantemente ricorrente. Scegliere quella che si chiama “morte dignitosa” appare una richiesta sempre più ineludibile e la sua progressiva affermazione ne fa la nuova frontiera morale della società contemporanea, il nucleo centrale dei “nuovi diritti”. Il diritto a staccare la spina quando si è affetti da una patologia degenerativa oramai arrivata alla sua fase terminale; o anche, più semplicemente, il diritto a interrompere la propria esistenza quando si prevede un futuro di decadenza fisica e di solitudine esistenziale appaiono da tempo come delle evidenze incontrovertibili rispetto alle quali qualsiasi diverso punto di vista appare inconsistente, quando non addirittura insopportabile.
Il caso di Charlie Gard, il bambino inglese affetto da deperimento mitocondriale — una malattia rara e senza scampo, pare che se ne registrino solo sedici casi in tutto il mondo — ha convinto il Tribunale di Londra ad autorizzare l’ospedale nel quale il piccolo è ricoverato a staccare la spina, tanto appare inutile, per non dire disumano, l’accanimento terapeutico del quale Charlie Gard è fatto oggetto. Poco importa che i genitori non siano d’accordo e continuino a “sperare contro ogni speranza”. Così come poco importa che abbiano raccolto una cifra consistente per portare il loro bambino negli Stati Uniti, per tentare una cura sperimentale. Il loro appello alla Corte europea non ha trovato accoglienza. A Strasburgo come a Londra hanno trovato opportuno invitare l’ospedale a staccare la spina, risparmiando quindi a Charlie Gard ulteriori sofferenze.
Di fatto e in tutta buona coscienza, si è ritenuto che questo bambino, non potendo avere — nei fatti e stando al livello attuale delle conoscenze mediche — nessuna possibilità di salvezza, debba essere lasciato morire. Per farlo basta staccare le macchine e Charlie Gard volerà in cielo (almeno così pensiamo noi credenti di ogni credo). Charlie Gard ha diritto (anche lui) ad una morte dignitosa e se non può esprimersi liberamente, è lo Stato eticamente sensibile e la Corte europea nella sua saggezza a praticare la scelta più ovvia, quella che ogni adulto — così pare — farebbe.
Peccato che Charlie Gard adulto non è ed il suo essere ancora un bambino di un anno non è solo un limite ma anche una risorsa. L’errore madornale nel quale Londra e Strasburgo incorrono sta proprio nel non prendere minimamente in esame la poderosa ed enorme dimensione relazionale che lega Charlie Gard, come ogni bambino, ai suoi genitori. Nessuno sa cosa viva nel suo mondo il piccolo Charlie quando sente la presenza del papà e della mamma e quelli che possono saperne qualcosa sono proprio i suoi genitori, che lo amano oltre ogni limite.
Ma per Londra e Strasburgo questa dimensione non conta. Completamente travolti dal primato del soggetto e dalla sua assoluta autoreferenzialità (vero e proprio principio dominante nella nostra società) costoro non guardano che alla dimensione fisica ed al suo indiscutibile stato patologico; ne vedono il corso letale e ritengono opportuno intervenire su questo fronte. È chiaro che se prendessero in carico quella stessa dimensione relazionale che si ostinano a non vedere il bilancio sarebbe completamente diverso. Qui non siamo dinanzi a una coppia che decide terapie alternative in quanto ritiene che quelle ufficiali non siano valide, ma siamo dinanzi a due genitori che stanno cercando di battere tutte le strade possibili per salvare il loro bambino, una volta che la scienza medica ha allargato le braccia, confessando la propria impotenza.
C’è da preoccuparsi quando una tale incoscienza della dimensione relazionale, pur ampiamente trattata in psicologia dell’età evolutiva, resti ancora profondamente sottodimensionata. Così come c’è da preoccuparsi quando una dimensione così vitale ed essenziale come l’affetto dei genitori, la loro ricerca disperata di salvezza ed il desiderio di Charlie Gard di continuare ad incontrarli ad ogni risveglio, trovino nella Corte di Giustizia di Strasburgo una porta chiusa.
È incredibile (e scandaloso) come la tanto invocata “libertà di cura”, tirata in causa quando si tratta di percorrere sentieri terapeutici sconfessati dalla medicina ufficiale, resti adesso silente. Il fatto che non sia in ballo l’autonomia dei soggetti, ma il primato della relazione che lega gli uni agli altri, rende i genitori di Charlie Gard assolutamente invisibili e irrilevanti ai fini della decisione. L’universo che lega queste tre persone è giudicato assolutamente irrilevante ai fini della decisione. È sempre e solo l’individuo quello che conta e quando non può scegliere, saranno altri a scegliere per lui in relazione alla sua pura individualità. Nemmeno per un attimo si vede la dimensione relazionale, quella realtà unica che ciascuno di noi vive e che i genitori di Charlie assieme al loro bambino vivono da un anno. Quest’universo di vita affettiva non conta, questa relazione profonda ed essenziale non ha nessun valore: Londra e Strasburgo semplicemente non la vedono e la ritengono come un mondo puramente immaginario. Ed invece ad essere immaginario è proprio il voler ridurre il piccolo Charlie alla propria struttura fisica; come se l’affetto, il legame e l’amore che lo lega ai genitori fosse un semplice fantasma della coscienza, come se non costituisse l’essenziale.
C’è da interrogarsi seriamente e profondamente sulla cecità di un tale diritto e sulla sua oggettiva pericolosità.