Spesso ci si è interrogati su un vecchio adagio: l’abito fa il monaco o no? E’ importante l’apparenza o quello che c’è dentro ciò che si vede? Un giovane seminarista, divenuto prete, una volta indossato l’abito talare ha ricevuto una lettera da un suo amico, un prete più anziano, spiegandogli il valore e il significato di quel suo vestito. Che agli occhi di un giovane sembra “più bello di un abito da sposa”, e che sarà l’armatura del prete per tutta la durata della sua vita. Indossare l’abito talare può essere una preghiera, ma è il modo con il quale viene indossato e non il fatto stesso di indossarlo ad esserlo. Così come anche le tasche dovranno avere un significato particolare: un prete deve sempre avere qualcosa da offrire agli altri, che siano un po’ di soldi, un momento di conforto o di sostegno. Le tasche interne serviranno per le lettere e i ricordi, le foto delle persone care e i disegni che i bambini porteranno in dono.
Non è dunque l’abito, nella spiegazione del prete anziano al giovane collega, ad essere in sé una manifestazione divina, ma è il modo in cui sarà portato a stabilire se si potrà esserne degni. non per niente, un abito talare non permette pose da pavone, particolarmente appariscenti. Fa sentire particolarmente goffi ed impacciati quando si finisce preda delle proprie ambizioni. E’ importante amare il proprio abito talare, ma non bisogna amare troppo se stessi al suo interno. E’ importante, bisogna amare la Chiesa e sapersi difendere anche dagli sguardi della gente, che sull’autobus spesso pensa di avere maggior diritto di un posto a sedere rispetto a un prete. L’importante è che un abito non porti gli altri a sentirsi estranei e lontani da Dio: deve essere uno strumento di vicinanza, non avere un significato elitario per chi lo indossa. Anche perché l’abito da prete non fa il monaco, semplicemente nasconde le inadeguatezze umane di chi lo indossa: Dio lo ha pensato proprio per questo.