Caro direttore,
tutti oggi parlano di Charlie Gard. Ricoverato nella rianimazione del Great Ormond Street Hospital, eccellenza mondiale nella cura dei bambini, in cui lavoro da tanti anni. Charlie, bambino di 10 mesi condannato a morire. Ma chi di noi non è condannato a morire?
In quella stessa rianimazione tutti i giorni, ci sono bambini che combattono la loro battaglia per vivere. A volte vincono, ma a volte perdono.
Sempre in quella rianimazione tutti i giorni ci sono genitori che darebbero la loro vita per i loro figli, che farebbero di tutto per loro, anche portarli in America se servisse. A volte, però, devono accettare di lasciarli andare.
Lì, con tutti loro, sempre nella stessa rianimazione, ci sono medici e infermieri che fanno tutto il possibile per far vincere a ogni bambino la sua battaglia, proponendo tutto quello che possono. Li manderebbero anche in America se servisse, ma purtroppo anche loro a volte perdono, e devono lasciarli andare.
Questo è la battaglia di Charlie, ed è la battaglia dei suoi genitori e dei medici che l’hanno in cura: la battaglia per la vita. Purtroppo il nemico di Charlie è una malattia rara, che non ha ancora una cura; una malattia degenerativa, che lo sta portando alla morte. Le cellule del suo corpo non producono abbastanza energia per tenerlo in vita e piano piano i suoi organi stanno smettendo di funzionare.
Alcuni mesi fa i medici si sono accorti che non c’era più niente da fare, che nessun trattamento, neanche quello proposto in America, sarebbe servito per cambiare la situazione che stava già degenerando: hanno dunque proposto le cure palliative, per accompagnare Charlie alla morte secondo i suoi tempi e i tempi necessari ai genitori per trovare il coraggio di lasciarlo andare.
Ma dove si trova il coraggio di fare una cosa del genere? Chi ha il coraggio di lasciare andare suo figlio? E lasciarlo andare dove?
I genitori di Charlie si sono opposti a questa decisione e hanno chiesto a un giudice dopo l’altro di poterlo portare in America per un trattamento (non una cura) che forse avrebbe prolungato la sua vita; un trattamento che però è stato giudicato troppo sperimentale anche per i medici dell’ospedale, che sarebbero stati disponibili a tentare se le condizioni di Charlie lo avessero permesso. Ma Charlie è troppo fragile per affrontare un viaggio del genere.
Molti ora gridano all’eutanasia, da diversi fronti, ma in realtà tutti i protagonisti coinvolti hanno agito nella loro miglior coscienza, genitori, medici e giudici, senza il furore ideologico che domina ora nei media.
La verità è che la vita di Charlie, dei suoi genitori, dei medici, dei giudici, la nostra vita, dipende da un Altro, che la vita ce l’ha data e ce la dà ogni istante, ma che anche se la riprende, a volte in modi drammatici e misteriosi, come nel caso di Charlie e di tutti quei bambini che sono in quella rianimazione con lui.
Accettare che la propria vita e la vita delle persone a cui si vuole bene non è nelle nostre mani è drammatico, faticoso e doloroso. A volte talmente doloroso che sembra insopportabile e non si vuole lasciar andare.
È nella Verità che si trova il coraggio di accettare la vita e anche di lasciarla andare, perché la Verità ci ha promesso la vita eterna.