Claudia Bordoni aveva 37 anni quando riuscì a restare incinta grazie alla fecondazione assistita. Il suo sogno di diventare mamma, però, si è bruscamente interrotto drammaticamente lo scorso 28 aprile, quando Claudia e le due gemelline che da 25 settimane portava in grembo, morirono a causa di un’emorragia dovuta ad un’endometriosi presso la clinica Mangiagalli di Milano. Per il caso è stata aperta un’inchiesta in cui furono indagate una ginecologa e due ostetriche, ma al termine della quale era stata chiesta l’archiviazione da parte della procura. Oggi tuttavia, per il caso della donna morta di parto è intervenuto un importante colpo di scena, come riporta Corriere.it poiché il gip Stefania Donadeo ha accolto l’opposizione presentata dai familiari di Claudia disponendo il rinvio a giudizio a carico dei tre sanitari precedentemente indagati e che si preparano così ad affrontare un processo con l’accusa di omicidio colposo. L’unica posizione per la quale il giudice ha disposto l’archiviazione è per la psichiatra che fu chiamata a valutare il caso nel giorno della morte della donna e delle due gemelline.
Claudia Borboni e le sue due gemelline potevano essere salvate se si fosse intervenuto tempestivamente praticando il taglio cesareo: lo ha dichiarato il consulente tecnico Dario Raniero incaricato dalla procura di Milano. Secondo l’esperto veronese, il 28 aprile se la ginecologa della Mangiagalli avesse approfondito adeguatamente i sintomi presentati dalla donna (forti dolori al ventre, cali di pressione e svenimenti) sarebbe stato possibile individuare prontamente la causa del malessere ed intervenire con taglio cesareo salvando la 37enne e le sue due future figlie.