Remigio Sciarra, 52 anni, freddato a bordo della sua auto con moglie al fianco e figlio più amichetto sul sedile posteriore, non era uno stinco di santo. Dieci anni fa fu arrestato per estorsione a danno di un imprenditore di Frattamaggiore che si era fatto prestare 80mila euro e che, non riuscendo a restituire la somma, si era visto bellamente sfilare uno dei suoi ristoranti. Andò in galera e con lui altri membri del clan Cennamo che imperversa nella zona. 



Ora Sciarra va ad allungare la serie dei morti ammazzati in provincia di Napoli, sette negli ultimi dieci giorni, colpito da un solo proiettile mentre attraversava Afragola, lo stesso comune dov’è stato ucciso Salvatore Caputo, 72 anni, potente uomo d’affari considerato vicino al clan Moccia che avrebbe messo gli occhi se non ancora le mani sui 100 milioni da spendere intorno all’area che ospita la nuova stazione ferroviaria dell’alta velocità conosciuta come Le Porte di Napoli.



Se i due fatti di sangue, accaduti a breve distanza di tempo e nello stesso luogo, sono collegati saranno gli inquirenti a stabilirlo. L’impressione, per dirla con il sindaco della cittadina Mimmo Tuccillo, è che “siamo di fronte a una recrudescenza che non può essere sottovalutata”. Dev’essersi rotto qualcosa negli equilibri del malaffare all’ombra del Vesuvio se per regolare i conti si è tornati a impugnare la pistola al posto degli accordi sottobanco.

L’uso della violenza di strada, così volgare e così vistosa, con tutte le conseguenze che provoca in termini di repressione e controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine, non è mai una buona notizia. Anche nel mondo criminale è considerato un comportamento primordiale, un’esibizione di forza che si rende necessaria quando manca la capacità di ottenere il rispetto con lo sguardo o la parola. Insomma, è in corso una guerra nella guerra di camorra e si svolge sotto gli occhi di tutti.



E tutti sanno, almeno quelli che con l’argomento hanno un po’ di confidenza, che l’atto estremo dell’omicidio non è che la parte evidente d’inconfessabili alleanze nate per appropriarsi della maggior quantità possibile di risorse utili ad accumulare fortune, corrompere, tenere in vita organizzazioni paramilitari in un circolo vizioso che si autoalimenta. E allora la domanda da farsi, ancora una volta, è chi si nasconde dietro la mano che preme il grilletto.

Quale debba essere la strategia per contrastare fenomeni che nascono e prosperano dove c’è molta ricchezza e molta povertà, dove al servizio di grandi e piccoli interessi c’è una manovalanza disposta a rischiare per pochi spiccioli e a volte solo per conquistare un ruolo e sentirsi importante, è questione dibattuta in libri e convegni. Ma, con molta evidenza, la misura non si è ancora trovata. La realtà si fonde con la fantasia per alimentare serie televisive di successo e la denuncia sembra già una risposta.