Le cronache hanno presto risucchiato la notizia di un furto molto significativo avvenuto con tutta probabilità nella notte tra il 2 e il 3 giugno: dalla Basilica di Colle don Bosco, nell’astigiano, è stato sottratto il reliquiario contenente il cervello di san Giovanni Bosco. Generalmente in queste circostanze le “piste” che seguono gli inquirenti sono quattro: o il satanismo e, più in generale, il mondo dell’occultismo o il “mercato delle reliquie”, certamente meno redditizio di un tempo, o il tentativo di estorcere un riscatto, cosa sempre molto probabile in queste circostanze, o — in extrema ratio — un gesto dimostrativo che può avere come movente una “furbata” o un cliché ideologico.
Saranno le indagini a chiarire che cosa sia esattamente avvenuto e, si spera, a rinvenire la reliquia del Santo. Quello che rimane è però un duplice sconcerto: da una parte per il modo frettoloso con cui i media hanno archiviato la vicenda — dimostrandosi molto distanti dal “sentire” comune di quel popolo di cui non sanno leggere davvero inclinazioni e pulsioni —, dall’altra parte per quello che viene in mente pensando alla psicologia di un individuo che compie un tale gesto. E’ inutile stare a fantasticare sulle motivazioni profonde che permettono il maturare di un’azione come questa, è al contrario più utile osservarne la dinamica di fondo: un individuo che trasforma il valore simbolico di una cosa in un valore meramente economico.
Se si prova ad andare al di là del contesto macabro in cui questo processo si attua, il fatto è altamente interessante e dimostra come ogni valore simbolico possa sempre essere ridotto ad un valore economico, ossia come dietro ad ogni valore si possa sempre nascondere un interesse. C’è chi usa i valori della Chiesa per costruirsi una carriera politica, c’è chi appartiene a comunità o movimenti “in auge” per promuovere la propria ascesa sociale, c’è chi ruba reliquie per farne bottino morale o finanziario. Comunque la si veda il fatto che inquieta è che il rapporto con una data realtà, simbolica o reale, non venga più misurato in funzione della crescita personale che una persona può trarne (vado con quegli amici, faccio la tal cosa, do il mio tempo per quella causa così cresco, divento più umano e maturo), ma in virtù del profitto che ne può conseguire.
Qui siamo ad un punto decisivo del percorso umano del nostro tempo: la relazione con le cose e con le persone è determinata non più dal merito, dall’incremento di bene che ci può essere per la mia vita stando in quel rapporto, ma dal profitto, da ciò che quella cosa o quella persona può permettermi di ottenere. Questo, si capisce benissimo, deriva dall’aver ridotto il bene a soddisfazione, a godimento. Tu mi servi per soddisfarmi, tu mi servi per i miei interessi, tu mi servi per il mio guadagno.
Il dramma è che in questo modo scompare la dignità del Tu e dell’Io. Scompare proprio il fatto che il rapporto con l’altro possa essere possibilità di cambiamento e di scoperta. Rimane solo il guadagno, eterno idolo della nostra specie. Per questo le parole più sagge su questa vicenda sono venute proprio dai Salesiani che custodiscono la Basilica di Colle don Bosco. Essi chiedono che il Santo possa toccare il cuore di coloro che hanno compiuto tale azione, ossia che i malfattori possano rendersi conto che quello che hanno tra le mani non è “una cosa” da cui aver profitto, ma una realtà che — incontrata ogni giorno da centinaia di persone — cambia la vita. E’ questo un buon esempio per spiegare che cosa significhi “ritornare umani”. Smetterla di aver a che fare con le cose e le persone per un meschino interesse per iniziare ad incontrarle con un’improvvisa, e necessaria, curiosità. Sembra poco, eppure a Colle don Bosco questo è quello che ha messo in gioco tutto.