Entro il prossimo 10 luglio il Gip di Arezzo davanti al quale si sta svolgendo l’udienza preliminare a carico dei due indagati per la morte di Martina Rossi, dovrà esprimersi se rinviare a giudizio o prosciogliere dalle accuse i due giovani aretini. Luca e Alessandro, come ricorda Blitz Quotidiano, sono stati incastrati dalle intercettazioni aprendo due importanti dubbi: il primo relativo al tentativo di violenza sessuale, il secondo al fatto che con ogni probabilità i due coetanei stessero architettando quanto avrebbero detto ai magistrati. “Sul corpo non sono riportati segni di violenza sessuale”, queste le parole che Alessandro, uscendo dall’interrogatorio in Procura aveva detto all’amico. Era il 7 febbraio 2012 e fino a qual momento non era mai lontanamente emerso il sospetto del tentativo di violenza sessuale. Non solo: contro di loro anche le intercettazioni delle conversazioni avvenute nella stanzetta della procura, dove a loro insaputa era presente una cimice: “Digli che eri a letto, hai sentito un tonfo e hai visto una figura cadere giù”, suggeriva Alessandro a Luca. I due, dunque, volevano accordarsi su cosa dire agli inquirenti?
Il processo sulla morte di Martina Rossi si pone l’obiettivo di fare chiarezza sulla tragica fine della studentessa ligure, avvenuta nell’estate del 2011. In attesa di scoprire quali sono stati i risvolti che la vicenda ha avuto nel corso della nuova udienza odierna, come ricorda Blitz Quotidiano, il pm non crederebbe affatto alla tesi del suicidio portata avanti dalla polizia spagnola e dalla difesa dei due giovani ora a processo. Un ruolo saliente sarà giocato dalle loro intercettazioni per le quali il giudice ha dato l’ok affinché si possa procedere con le trascrizioni. Al centro delle intercettazioni, una conversazione importante tra i due aretini indagati, Alessandro Albertoni, 25 anni, studente universitario e Luca Vanneschi, 26 anni piccolo imprenditore. I due sono sospettati di aver provocato la morte di Martina caduta mentre cercava di scappare al tentativo di violenza. E’ questa la tesi sostenuta dal pm di Arezzo e dal collega di Genova e portata in aula in questi giorni e basata sull’ipotesi accusatoria della morte in conseguenza di altro reato.
Eppure, a detta della difesa dei due ragazzi e che sostiene la tesi del suicidio, quest’ultima risulterebbe avallata anche da un precedente, il quale sembra essere refertato nelle carte del processo e che parla del tentativo fallito da parte della ragazza di porre fine alla sua vita, nel Capodanno 2009, dopo una delusione amorosa. A sostegno di questa pista anche le dichiarazioni dell’infermiera spagnola che sostenne di aver visto Martina Rossi buttarsi dal balcone. Le sue parole saranno ora sottoposte a verifica grazie alla traduzione della rogatoria internazionale.
Si riaccendono oggi i riflettori sul caso di Martina Rossi, giovane studentessa appena 20enne e che ha trovato la morte durante una sua vacanza in Spagna. Era l’agosto 2011 quando la ragazza ligure decise di andare a Palma de Majorca insieme ad alcune amiche, per festeggiare la fine dei suoi esami. Qui, però, qualcosa non andò per il verso giusto. L’epilogo di questa triste storia è la sua morte, avvenuta in circostanze ancora del tutto misteriose, dopo essere precipitata dal sesto piano di un hotel. Le indagini da parte della polizia spagnola furono chiuse a tempo di record bollando il caso come suicidio o balconing, la folle pratica nata proprio a Palma de Majorca un decennio fa e che consiste nel saltare da un balcone ad un altro sotto l’effetto di stupefacenti o alcol. Una tesi immediatamente smentita dal padre Bruno, che a Repubblica.it aveva dichiarato: “Martina non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere”.
La giovane, così educata, tranquilla, amante della vita, stava vivendo la sua prima vacanza da adulta. Di fronte alle insistenze della polizia spagnola, che aveva asserito di aver raccolto la testimonianza di alcuni amici i quali avrebbero confermato che la ragazza aveva fumato uno spinello la sera della sua morte, il padre comprese che c’era qualcosa che non andava nell’intera storia: “Stavano costruendo una storia ad arte”.
Insieme alla moglie sono andati avanti con forza, alla ricerca della verità sulla morte di Martina Rossi, cercando di far luce sulle tante contraddizioni e sui numerosi silenzi.
Quei “non ricordo” di alcuni amici indagati per falsa testimonianza, fino alle parole, intercettate a loro insaputa mentre erano in attesa di essere sentiti dagli inquirenti, da parte di altri due ragazzi, Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, coetanei di Martina ed entrambi di Arezzo. I due giovani, oggi indagati per la tentata violenza e la morte (in conseguenza di altro reato) di Martina Rossi, attendono di conoscere il loro destino giudiziario dopo la richiesta di rinvio a giudizio. Oggi, si svolgerà una nuova udienza importante, la penultima prima della pausa estiva.
La scorsa settimana il giudice di Arezzo, Piergiorgio Ponticelli, ha dato l’ok affinché possano essere utilizzate le intercettazioni dei due indagati, i quali per la prima volta parlarono di violenza sessuale, aprendo così una nuova pista nel caso di Martina Rossi, fino a quel momento mai affrontata. Quella della giovane studentessa 20enne, per la sua stessa famiglia non è mai stata una morte per suicidio. Secondo la Procura, infatti, Martina sarebbe morta nel tentativo di scappare ad una violenza sessuale da parte dei due aretini, presenti nella medesima stanza dell’hotel spagnolo.
Nell’udienza di oggi, come anticipato da ArezzoNotizie.it, quasi certamente assisteremo alla richiesta dell’avvocato Baroni, uno dei legali della difesa dei due ragazzi indagati, rivolta al gup. Una richiesta nella quale il legale invita il gup a considerare il fatto che sul caso di Martina Rossi si sia già svolto un processo in Spagna archiviando l’episodio come suicidio, giudicando quindi non necessario né ammissibile un ulteriore procedimento anche in Italia.
Su questo punto, si attende la traduzione del materiale prodotto dalla difesa dei due indagati. Se dovesse trovare l’accoglimento del giudice, allora il processo verrebbe interrotto non trovando più motivo per andare avanti. Nell’udienza odierna, dunque, il giudice affiderà l’incarico per la traduzione della rogatoria internazionale relativa all’interrogatorio al quale fu sottoposta una cameriera dell’albergo spagnolo. La donna ha sempre sostenuto la tesi del suicidio, così come la polizia locale e la difesa dei due ragazzi e proprio su questo punto si cercherà di fare maggiore chiarezza.