Il Consiglio regionale del Lazio ha approvato la mozione che impegna la Regione a sollecitare il Governo affinché adotti misure tempestive per salvare la vita del piccolo Charlie Gard. Lo ha annunciato Olimpia Tarzia, capogruppo Lista Storace nel consiglio regionale del Lazio e presidente del Movimento Politica Etica Responsabilità. La mozione impegna la Regione Lazio anche a sollecitare iniziative per accogliere Charlie Gard nelle strutture ospedaliere ubicate nel Lazio, come il Bambino Gesù, che si è dichiarato disponibile a farlo. «Charlie non è un malato terminale, non è congruo dunque nel suo caso parlare di accanimento terapeutico», ha dichiarato Tarzia, che, come riportato da askanews, si è detta fiduciosa in vista dell’udienza di giovedì. Per Tarzia il bimbo britannico è affetto da una malattia oggi inguaribile, ma non incurabile, quindi auspica un percorso che si fondi sull’alleanza terapeutica e sul rapporto di fiducia tra medico e pazienti. (agg. di Silvana Palazzo)
I genitori di Carlie Gard stanno lottando per ottenere la possibilità di decidere sulla vita e le cure del proprio figlio: per questo motivo sono intervenuti i genitori delle scuole cattoliche, l’Agesc, per provare a riaffermare la centralità della protesta genitoriale, allarmati dal caso inglese. «I genitori di Charlie, che si sono battuti da subito contro la decisione dell’ospedale di ‘staccare la spina’ al figlio, sono stati di fatto esautorati nel primo grado di giudizio in quanto ‘emotivamente coinvolti’: al loro posto la corte ha nominato un tutore, che da allora decide al posto loro cosa sia bene o meno per il loro figlio», è la nota del presidente di Agesc, Roberto Gontero. Viene criticato e non poco la dicitura delle corti inglesi ed europee, “nel miglior interesse del bambino”, come già sottolineato in questi giorni dall’Ospedale Bambino Gesù. da altre associazioni come il Mitocon e da molti semplici cittadini e genitori che si sono immedesimati in questo “enorme” caso a cielo aperto.
«Da quando la morte è il migliore interesse di un essere umano? Da quando negare la speranza di una cura, seppur sperimentale, può essere nel miglior interesse di un malato?». L’Agesc poi conclude la sua nota con un appello a tutte le istituzioni per il futuro di quanto avverrà dopo la vicenda di Charlie, comunque si concluderà: «se i tribunali sono così solerti a togliere la potestà genitoriale in casi tragici come questo, dove qualcuno può prendere la decisione di togliere la vita a tuo figlio mentre a te vengono di fatto legate le mani, cosa succederà in tutti gli altri casi in cui siamo coinvolti come tutori e primi educatori dei nostri figli?».
Ha parlato ai colleghi del Quotidiano Nazionale nei giorni scorsi il genetista dell’ospedale Bambino Gesù di Roma che sul caso Charlie Gard ha collaborato alla stesura del protocollo di cure sperimentali presentato al GOSH e che ha di fatto riacceso la speranza per i genitori del bimbo per una nuova decisione dell’Alta corte inglese rispetto al trasferimento e soprattutto al rinvio del traumatico distacco dei macchinari. «SI può provare la cura sperimentale non per fare contenti i genitori ma perché c’è una piccola, concreta, speranza, supportata da dati scientifici, che ci autorizza a dire che non dobbiamo buttare la spugna», spiega bene il genetista Bruno Dellapiccola, direttore scientifico del Bambin Gesù. «Ci deve essere una valutazione delle condizioni di salute del bimbo che ci dica che la cura è praticabile», ammette lo stesso genetista spiegando la complessa malattia di cui è affetto Charlie Gard.
«La cura sperimentale deve cercare di riattivare il dialogo tra Dna nucleare e mitocondrio. Siamo in presenza di patologie molto rare, conosciamo una ventina di sindromi da deplezione mitocondriale, di diverse gravità. L’aspettativa di vita dei bambini affetti dalla patologia di Charlie è molto bassa, si parla mediamente di meno di 5 anni», spiega ancora Dellapiccola. Una possibilità esiste, non è alta come probabilità di riuscita, ma non è neanche campata per aria: «In America c’è un ragazzino con una malattia simile a quella di Charlie che sta facendo questo trattamento traendone beneficio perché si riesce a recuperare la funzione energetica dei mitocondri».
Su Charlie Gard ieri pomeriggio, dopo la decisione della Corte inglese di rinviare a giovedì la decisione finale, è intervenuto anche il Centro Studi Livatino (pool di magistrati, avvocati, medici e professori impegnati nello studio e ricerca sul diritto naturale, dedicato al giudice siciliano ucciso dalla Mafia nel 1990). Da un lato è positivo, secondo il Centro Studi, che l’Alta Corte riconosca ai genitori una possibilità di esprimersi prima negata: di contro però, viene criticata la concezione emersa in tutta la vicenda giuridica di Charlie. «L’oggetto del giudizio non è se l’ospedale nel quale Charlie è ricoverato debba o non debba proseguire le terapie – è evidente che non ritiene di farlo -, bensì se i genitori del piccolo abbiano il dovere e il diritto di tentare il possibile per salvarlo, in nome del favor vitae e ovunque vi sia la disponibilità».
La mentalità accusata è quella più prossima all’eutanasia, ovvero dove «la concezione “proprietaria” del minore emerge come sistema», denuncia come possibile situazione futura anche in Italia, il centro Studi Livatino. Nella culla dei diritti, l’Inghilterra, il forte rischio di una “culla senza diritti”, in questo senso il rischio sottolineato dal centro studi è di quelli comunque interessanti da tenere sott’occhio nella immensa produzione di giudizi/polemiche nata dal caso del piccolo Charlie.
Doveva essere la giornata della verità ieri a Londra per il futuro del piccolo Charlie Gard e invece è stata “solo” la giornata del rinvio: il giudice dell’Alta Corte di Londra ha deciso di prendersi ancora del tempo supplementare, data la delicatezza e la complessità della situazione arrivata all’ennesima settimana di discussioni e pressioni da parte di mezzo mondo. Il giudice Nicholas Francis, lo stesso che si era già pronunciato ad aprile nella prima sentenza dove veniva stabilito l’interruzione dei macchinari che tengono in vita il piccolo bimbo inglese, ha deciso così di prendersi più tempo: si è detto disponibile da un lato a rivedere il proprio giudizio di fronte a nuove e incoraggianti prove che possano cambiare davvero la situazione. Dall’altro però, e su questo punto si è scontrato con i genitori di Charlie, ha sollevato la questione dei danni cerebrali permanenti che il bimbo potrebbe aver subito dopo quesi mesi di deplezione da Dna mitocondriale. «Non c’è alcuna persona vivente che non vorrebbe salvare Charlie», ha detto in aula Francis che contesta la richiesta dei genitori di voler cambiare il giudice, «Io ho sempre fatto il mio lavoro e continuerò a farlo». Secondo Chris e Connie Gard un giudice che ha già condannato Charlie al fine vita non dovrebbe avere di nuovo in mano l’ultima decisione per salvare o meno il bimbo.
A rendere ancora più tesa l’aula è stato l’intervento del legale che cura gli interessi dell’ospedale inglese, quando ha affermato che «che le prove portate dalla famiglia del bambino e relative alla terapia si riferiscono a patologie unicamente muscolari e non ai danni al cervello e che le presunte evidenze da nuove ricerche provengono solo da laboratori e non da test su pazienti», riporta Avvenire. A quel punto mamma Connie ha alzato visibilmente la voce, arrivando quasi ad urlare per poter replicare, «l’ospedale vi sta mentendo, state attenti!». Dopo che il giudice ha riportato la calma nell’aula, ha concluso dando appuntamento a giovedì prossimo, «Esaminerò il caso giovedì di questa settimana e potrei essere in grado di risolverlo. Oppure no». Quel dubbio finale dice tutto di una vicenda sempre più ai limiti di una complessa “resistenza” per tutti i protagonisti in gioco, in primis quel piccolo bimbetto attaccato ad un respiratore che lotta per la sua vita davanti ad un mondo intero che lo guarda.
Nel giorno in cui l’udienza dell’Alta Corte è stata protratta ad un secondo, a questo punto decisivo, appuntamento il prossimo giovedì, i genitori di Charlie Gard, Chris e Connie hanno commentato la petizione presentata al GOSH (firmata da 350mila persone) in cui chiedono che finalmente si possa riconoscere la possibilità di una cura sperimentale, come dimostrato dal protocollo del Bambino Gesù di Roma. «Se lui lotta ancora lottiamo anche noi», continuano a ripetere i due giovani genitori da mesi nel dramma della vita del loro piccolo figlio. Hanno ringraziato i tanti in tutto il mondo che hanno firmato la petizione («Il fatto che molte persone la pensino come noi, ci conferma che stiamo facendo la cosa giusta»), con un distinguo speciale per Papa Francesco e Donald Trump, «il loro è stato l’aiuto più grande nel tentare di mantenere Charlie in vita. Hanno trasformato il caso in una questione internazionale». L’Alta Corte si riunirà ancora tra due giorni e il verdetto potrebbe arrivare anche in quella giornata tra l’ansia e l’attesa di questi due genitori, ancora una volta, accanto al loro bimbo così gravemente malato.