Su “Il Fatto Quotidiano” del 10 luglio è apparsa un’interessante riflessione a cura di Luca Sommi su un’abitudine sociale molto diffusa. Ovvero, quella di dare regolarmente del “lei” a delle persone con la pelle bianca, evidentemente italiane, all’interno di negozi, esercizi vari, rivendite. Quando è invece una persona dalla pelle scura ad entrare, il “tu” viene quasi automatico. Anche se si tratta, come sottolineato nell’articolo del giornalista del Fatto, di un cinquantenne distinto e brizzolato, ma nero. Secondo Sommi, alla base di tutto questo c’è una forte radicalizzazione di un pensiero divisorio: “noi” da una parte e “loro” dall’altra, dunque la delicatezza del “lei” non viene riservata a chi viene percepito come straniero, o semplicemente come diverso. A questo, si può aggiungere uno stigma sociale che porta automaticamente a considerare di umili origini, e dunque molto alla mano e senza bisogno della formalità del “lei”, le persone dalla pelle nera.
C’è anche il complicato sistema che secondo Sommi si è venuto a creare ai tempi del Fascismo e dell’Italia Coloniale, in cui ai capi si dava del Voi, confidenzialmente tra conoscenti del Lei (che a un certo punto fu bandito e malvisto dal regime) ma che sicuramente riservava ai neri dell’Etiopia e agli Ascari un “tu” che sapeva di superiorità e disprezzo, prima ancora che di semplicità. I retaggi del razzismo hanno lasciato scorie che spesso si ripresentano anche inconsapevolmente, in un’abitudine radicata prima ancora di capire perché ci si possa rivolgere a determinate persone in un modo e ad altre in maniera invece diversa. Il non sapersi rivolgere in pari modo, almeno formalmente, a persone di colore della pelle diverso dunque viene visto con un retaggio dell’Italia borghese e fascista, che non ha saputo emanciparsi nel corso degli anni in una sorta di corto circuito conservatore. Abitudini che vanno cambiate per andare veramente incontro alla società multietnica che ci si para davanti.