Prende avvio dal celebre passo Giovanneo l’ultima rivoluzione di Papa Francesco. “Maiorem hac dilectionem nemo habet, ut animam suam quis ponat pro amicis suis” (Gv 15,13-15). “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. E’ tutto in questa scandalosa constatazione che da duemila anni non cessa di provocare e inquietare la tendenziosa placidità dell’animo umano, la novità presentata con un Motu Proprio datato 11 luglio 2017. Un iter per raggiungere gli onori degli altari pensato ad hoc per quei cristiani che spinti dall’amore dirompente per Cristo, offrono eroicamente la propria esistenza in favore del prossimo.
Una nuova via per la santità, è stato detto. Ma forse c’è molto di più. Il riconoscimento del primato della Carità su tutte le altre virtù. Il fatto che un solo atto di amore totale e radicale, estremo e irreversibile possa far conquistare l’aureola e il Paradiso, nonostante la propria virtuosa mediocrità. Perché non importa se non si è stati perfetti nella propria esistenza, se si ha la Carità non solo si è salvi, ma anche santi. Ricordate Paolo e la sua lettera ai Corinzi: “ora esistono queste tre cose, la fede, la speranza e la carità, ma la più grande di esse è la carità“. La decisione del Papa sembra prendere l’inno paolino a sostegno per la possibilità a cui la Congregazione per le cause dei santi lavora da gennaio del 2014. A riflettere sulla questione erano stati invitati un biblista, un docente di teologia dogmatica, uno specialista in teologia spirituale, un giurista e uno storico. Bisognava verificare una nuova fattispecie di santità, “l’offerta della vita usque ad mortem“. Il risultato dello studio fatto a più cervelli ha portato alla novità comunicata ieri solennemente: l’offerta della vita, seguita dalla morte, ad imitazione di Cristo è un atto eroico, segno di eccezionalità.
Ad oggi, dobbiamo chiarire, si poteva procedere alla beatificazione di un Servo di Dio per tre vie. La prima quella del martirio, con l’accettazione volontaria della morte violenta da parte della vittima e l’odium fidei del persecutore. La seconda, la via delle virtù eroiche esercitate in modo straordinario dal candidato alla beatificazione, certificate da un miracolo che doveva verificarsi per intercessione del beato/a dopo la sua morte. Infine, la strada meno conosciuta e battuta, la terza, quella della “beatificazione equipollente”, una possibilità che ha il suo fondamento nel culto antico e spontaneo verso un Servo di Dio, ma che arriva per decreto pontificio.
Francesco ha aggiunto la quarta via: la valorizzazione della testimonianza cristiana della carità espressa in maniera eroica, con un atto estremo, condensato in un breve arco di tempo. Un esempio? Le religiose che nel 1995 in Congo si rifiutarono di abbandonare la popolazione vittima del virus Ebola, continuando fino all’ultimo respiro a curare e lenire i dolori dei malati, finendo anch’esse per essere sterminate dall’epidemia. Probabilmente erano donne con difetti e mancanze, fragilità e peccati. Ma la decisione di restare nonostante sapessero con certezza di non poter sfuggire al contagio le ha poste su un gradino più alto. Il loro è un martirio in senso improprio, perché non c’è un persecutore, e allo stesso tempo i loro casi potrebbero non rientrare pienamente nella seconda via, quelle delle virtù eroiche, proprio per l’ordinarietà con cui hanno condotto le proprie vite.
Ma un gesto libero, volontario, eroico le ha sottratte ad una buona e ordinata esistenza cristiana, per porle a modello nella Chiesa. Hanno offerto senza ripensamenti la loro vita per il bene dei fratelli. La morte è arrivata, prematura. La via per la loro santità è aperta. Perché nulla è più grande della Carità.