Maestre e insegnanti, ma anche lavoratori pubblici e in generale tutti i dipendenti del comune di Bari sono stati mandati di nuovo tra i banchi di scuola. Nuovi corsi per la sicurezza? Acqua. Corso di aggiornamento? Fuochino. Corso sull’identità di genere? Fuochissimo. Il progetto del comune di Bari è quello di riportare ancora di più al “centro” del piano educativo scolastico pubblico la questione del genere per “abbattere le barriere del pregiudizio e dei luoghi comuni”, spiega la nota del Comune barese. In poche parole, il gender torna e con “prepotenza” nella scuola italiana, non certo nel più totale silenzio dei genitori che già lamentano sui social il perché di un corso obbligatorio sull’educazione alla nuove frontiere del politicamente corretto e dei diritti LGBTQI. L’obiettivo del comune è quello dichiarato di superare ogni tipo di discriminazione basata sull’orientamento sessuale: 80 insegnanti degli asili nido e delle scuole dell’infanzia comunali ora dovranno sottoporsi a lezioni perché «questi bambini saranno cittadini del futuro», spiega alla Gazzetta di Bari Alessandro Taurino, responsabile scientifico del progetto comunale con l’Università di Bari. «Esiste oggi una pluralità di famiglie composte da un solo genitore o da due mamme e da due papà e il compito della scuola è educare e sensibilizzare al rispetto delle diversità», spiega ancora il docente universitario. Alcune domande e tematiche che dovranno affrontare i docenti tornati tra i banchi “gender” vedono questioni “come gestire l’amico bimbo che vuole giocare con le bambole?”, oppure “che male c’è se una bambina gioca con le macchinine?”.



I moduli affrontati vanno anche nello specifico non solo dei diritti da “rispettare” ma anche sul linguaggio da utilizzare in aula con i bambini: “la peggiore discriminazione è quella verbale”, e per questo ci saranno responsabili delle associazioni LGBTQI a spiegare i vari processi “educativi”. «Per prima Bari ha inserito nel proprio piano formativo corsi e contenuti che affrontano le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e di genere», spiega ancora l’assessore Angelo Tomasicchio sempre alla Gazzetta di Bari. Le polemiche di certo non mancano, specie nelle associazioni cattoliche e dei genitori che non vedono di buon occhio la “rieducazione” al gender. Più volte negli anni scorsi la stessa Arcidiocesi di Bari era intervenuta per segnalare le possibili difficoltà e pericolose conseguenze che questi corsi potrebbero portare, se “estremizzati” nei loro contenuti.



«È triste constatare che la pro­spettiva del “gender”, nata qualche decennio fa per valo­rizzare il “genio femminile”, trascuri ora la tutela delle donne e l’effettiva parità dei sessi», rivolgendosi «piuttosto alla promo­zione di condotte sessuali alternative», scri­veva nel 2014 don Filippo Morlacchi, direttore del­l’Ufficio per la pastorale scolastica del Vi­cariato, commentando alcuni corsi simili già avviati in Puglia e su tutto il territorio nazionale. Morlacchi, già nel 2014, avvertiva di alcuni rischi: «Si dice «educare alla diversità. Pec­cato però che almeno una di queste diver­sità, quella assolutamente originaria» e che «ogni bambino coglie al volo, tra maschietti e femminucce, tra mamma e papà, venga perfino contestata come obsoleto “stereo­tipo culturale”», si legge nel portale dell’Arcidiocesi Bari-Bitonto.

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