Il dissidente Liu Xiaobo è morto oggi all’età di 61 anni. A darne notizia è la Bbc che riprende quanto reso noto dai funzionari. Con lui, se ne va anche uno dei maggiori sostenitori in Cina dei diritti umani e della democrazia. L’attivista si è spento presso l’ospedale di Shenyang dove era ricoverato da alcuni giorni a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute dovute al cancro al fegato. Il trasferimento nell’ospedale della Cina Nordorientale dal carcere dove stava scontando 11 anni per “sovversione”, era avvenuto il mese scorso. Liu Xiaobo, dunque, è morto da prigioniero in quanto la libertà che gli fu concessa lo scorso 26 giugno poiché malato di tumore terminale, era condizionale solo a parole ma non nei fatti. Secondo quanto riporta Repubblica.it, con un comunicato l’ospedale nel quale il premio Nobel per la pace è deceduto, ha spiegato come i medici avessero proposto l’intubazione per provare a tenerlo in vita, ma la sua famiglia avrebbe rifiutato. Proprio nei giorni scorsi, tuttavia, i familiari del dissidente avevano messo in guardia rispetto alle notizie che trapelavano dal nosocomio. La verità, dunque, è che non sapremo mai come sono davvero trascorsi gli ultimi giorni di vita di Liu Xiaobo.



Negli ultimi tempi, quando ormai le sue condizioni di salute erano peggiorate, era stato lo stesso Liu Xiaobo a chiedere che venisse trasferito in Germania o negli Usa per sottoporsi alle cure per il cancro. La Cina però, aveva fermamente ribadito il suo no al trasferimento all’estero. Fino all’ultimo si è vissuto l’eterno scontro tra oriente ed occidente. Al suo capezzale erano infatti giunti i medici tedeschi ed americani ai quali Pechino aveva assicurato che anche i migliori specialisti cinesi si stavano prendendo cura di Liu Xiaobo. Per i primi il 61enne avrebbe potuto affrontare il viaggio alla ricerca di cure migliori, di contro i cinesi si erano opposti ritenendo che per lui non ci fosse più nulla da fare. Forse, per il 61enne, non è stato fatto davvero abbastanza. E’ questa la critica sollevata a Repubblica da Perry Link, il professore americano che si è occupato della traduzione delle sue opere: “Pechino l’ha spedito in clinica solo per non vederselo morire in carcere mentre l’Occidente guardava dall’altra parte: troppi interessi ormai con in gioco con la Cina”. Il suo caso, nelle ultime settimane era diventato dunque oggetto di grandi controversi internazionali ma di fatto è venuta a mancare quella mobilitazione che in passato portò alla liberazione di altri dissidenti.

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