A processo per aver aiutato a suicidarsi Fabiano Antoniani, il 40enne rimasto cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale. Per l’esponente radicale, che ha accompagnato Dj Fabo in Svizzera per il suicidio assistito, è scattata l’imputazione coatta. Il gip di Milano Luigi Gargiulo ha scritto nel provvedimento che in Italia «non esiste il diritto a una morte dignitosa». Per la procura, invece, questo diritto andrebbe riconosciuto di fronte a «vite percepite, da chi le vive, indegne, inumane e troppo dolorose per essere sopportate», come nel caso di Dj Fabo. Nello specifico, i pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini sostengono che Marco Cappato non doveva subire un processo perché ha “solo” aiutato Fabiano Antoniani a esercitare un suo diritto. In molti si sono chiesti la ragione di questa divergenza tra il giudice e la procura.



Innanzitutto bisogna tener conto del fatto che non c’è una norma, quindi il giudice non può trasformarsi in legislatore, introducendo un diritto inedito nell’ordinamento. Inoltre, non è possibile rivolgersi ai principi costituzionali e alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo per arrivare a questo diritto. A fronte della mancanza di un preciso quadro normativo, ammettere il diritto a una morte dignitosa per coloro che percepiscono la loro esistenza come dolorosa produrrebbe il rischio di un eccessivo accesso a tale opzione: «si pensi ai casi di persone che percepiscono l’indegnità della propria vita a causa di patologie depressive, il cui giudizio sulla propria esistenza è pesantemente inficiato da tale condizione».



Per il giudice, dunque, attualmente si ha il diritto di lasciarsi morire rifiutando il trattamento sanitario (articolo 13 e 32 della Costituzione), ma in questi casi la morte arriva per la «naturale evoluzione delle patologie». Il disegno di legge sul fine vita che è in discussione alla Camera non cambierebbe lo status quo, anzi «manterrebbe impregiudicata la piena respomsabilità penale per chi agevolasse o istigasse l’altrui suicidio». Non ci sono strade – come riportato da giustiziami.it – per il giudice per sancire il diritto a una morte dignitosa e per evitare che Marco Cappato, e chi agisca come lui, venga processato per un reato che peraltro prevede una pena dai 5 ai 12 anni.

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