La depressione viene considerata il male del secolo, ma non sempre avere una visione pessimistica della vita significa essere distaccati dalla realtà. Anzi, sta sempre più prendendo piede una teoria che vede le persone depresse essere particolarmente consapevoli e realiste riguardo la loro esistenza. La teoria si chiama “realismo cognitivo”, e parte dal presupposto che le persone depresse non siano pessimiste, ma semplicemente siano abituate a vedere il mondo per ciò che realmente è. Anche se le statistiche potrebbero contraddire questa tendenza: negli Stati Uniti nel 2015 16 milioni di persone lamentavano qualche disturbo di tipo depressivo: il che significa che oltre il 90 per cento della popolazione vivrebbe in un mondo inesistente, dietro due lenti che abbelliscono in mondo artificialmente rispetto a quello che è la cruda realtà. Eppure il “realismo cognitivo” dice proprio che sono gli ottimisti ad avere un serio problema di percezione della realtà.



La teoria del “realismo cognitivo” nasce nel 1979 e vede dunque le persone più ottimiste e che meno tendono a cadere in schemi malinconici, come gente che pratica sistematicamente la negazione della realtà. Il che in fondo combacerebbe con la visione di una vita che solo l’ottimismo può rendere accettabile rispetto alla dose di scocciature, noia, dolori e alla fine morte che tutti noi abbiamo in dote. Senza considerare che le persone che cadono nel “realismo depressivo” corrispondono a caratteristiche antropologiche ben precise: individuui maschi, con un elevato quoziente intellettivo che permette loro di avere un’elevata soglia dell’attenzione. La psicologia d’altronde in diversi testi avanza l’ipotesi come l’auto-inganno sia fondamentale per vivere un benessere psico-fisico che non porti a cadere nella prostrazione. Insomma, chi non riesce ad ammansire a se stesso la bugia che il posto è un mondo meraviglioso in cui vivere, è semplicemente un crudo analizzatore della realtà e non certo un depresso.



Ma non tutti gli esperti di sociologia e psicologia sembrano essere d’accordo con la teoria del “realismo depressivo”. Pur essendo un fenomeno con il quale molti studiosi concordano, ci sono diverse ricerche, come quella della Adelphi University, che spiegano come, su un campione di 7000 partecipanti, non ci fosse la possibilità di raggruppare in un unico gruppo di “realisti depressivi” le persone che avevano una visione pessimistica della vita. D’altronde il professore che ha condotto la ricerca, Michael T. Moore, ha sottolineato come un orologio rotto segni comunque, almeno due volte al giorno, l’ora esatta e che quindi una visione perennemente pessimistica della vita prima o poi porti alla conclusione di essere nel giusto, perché qualcosa di spiacevole prima o poi accade a tutti. Ma questo potrebbe valere anche per gli ottimisti cronici: come per dire che in psicologia fare di tutta l’erba un fascio non è mai una buona idea, e dunque è sempre saggio valutare l’individuo più che i gruppi.

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