Il massacro di Parma. Ci sono espressioni che a volte hanno il merito di sintetizzare un mondo. Quando si sente dire che Solomon Nyantakyi, reo confesso del duplice omicidio della madre e della sorellina di undici anni avvenuto martedì sera a Parma, è un’ex promessa del calcio non ci si rende conto che in quella definizione è già scritto tutto. “Ex promessa” è forse una delle esperienze più amare che accompagna la vita di tanti ventenni. Finiti i sogni e i furori dell’adolescenza, passate le illusioni dell’università, si entra nel mondo adulto e tutto — dagli amici al lavoro, passando per l’amore e il futuro — appare un’ex promessa. Qualcosa che era stato promesso, ma che non arriverà più. La risposta borghese al dramma della vita, quella risposta che dice “non temere, trovati un lavoro, sposati e ritirati dal mondo producendo e attendendo il fine settimana”, ha in questo disincanto il suo successo. Desideri interrotti, promesse mancate, nostalgie sottaciute sono la stoffa con cui un giovane uomo e una giovane donna sono costretti oggi a rammendare il tessuto della vita.
Eppure questa speranza disattesa non è in sé un male. Essa ha la capacità di mostrare, infatti, la portata alienante che i sogni avevano assunto durante i primi anni della giovinezza. Si confida a tal punto nel desiderio da non sentire più il dolore, la fatica, lo strappo, che accompagna ogni passo dell’esistenza.
Non c’è da stupirsi allora se allenatori illustri di Solomon facciano cenno al grande male che abita l’abisso di tanti ragazzi di questa generazione, ossia la depressione. La depressione sorge per motivi e per cause misteriose, ma riguarda in modo radicale il tema del dolore. Un dolore non visto, non affrontato, rifiutato. E’ questa dunque l’estrema illusione della prima parte della vita: nutrire la segreta convinzione che ci possa essere qualcosa che eviti di sentire il dolore. In questo modo, quando la promessa viene meno, è il dolore che, lentamente o in modo impetuoso, riemerge e travolge tutto.
Il dolore non smette per un istante di fare capolino nel lungo corso della vita. In gioventù, però, lo si anestetizza molto bene con la droga, il sesso e le illusioni di fama, di soldi, di potere. Il risultato è che quello che l’uomo cerca di allontanare finisce per diventare inesorabilmente il proprio destino. Il dolore si trasforma in un carceriere che tiene in ostaggio la mente e il cuore, rende incapace l’animo di distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è, consegna l’umanità alla sola forma di ribellione che le rimane: la violenza. In queste fitte pieghe del cuore si insinuano così rabbia, risentimento, senso di inadeguatezza e il tutto si esprime nella ricerca di atti che possano placare il tormento di un cuore assediato dal dolore. Per l’uomo non c’è salvezza, ma solo solitudine. La sua grandezza, l’ampiezza del suo desiderio, è destinata a perseguitarlo, a non lasciarlo in pace.
E alla fine o ci si ritira sempre di più, rimpicciolendo il respiro e il desiderio della vita, riducendolo alla disperata ricerca di un cantuccio dove vivere senza troppi disturbi, oppure si ricorre alla forza e all’odio come estremi tentativi di cercare nel freddo del cosmo un po’ di amore. Sarebbe questa la storia triste dell’uomo, sorretto da un po’ di alcool e da un po’ di solidarietà, da qualche passione e da alcune piccole “buone cause”, se il Cielo rimanesse muto, se le stelle rimanessero a guardare. Ma non è questo quello che esse fanno. Nel momento dell’orrore e della colpa, l’Amore si mette in moto, l’Amore ricomincia, l’Amore viene a farsi mendicante e pellegrino dell’anima. In queste notti calde d’estate qualcuno sostiene di averlo visto aggirarsi tra le celle del carcere di Parma. Nell’appassionata e disarmante ricerca del cuore di un ragazzo chiamato Solomon Nyantakyi.