Il 14 luglio è la memoria liturgica di San Camillo de Lellis, morto in quel giorno dell’anno 1614 nel convento della Maddalena a Roma. La decisione del giudice Nicholas Francis della High Court di affidare al dottor Michio Hirano la stesura di una perizia sulla praticabilità ed efficacia attesa della terapia proposta nei giorni scorsi per il piccolo Charlie Gard da un’équipe internazionale di medici e ricercatori, coordinata dall’ospedale pediatrico vaticano Bambino Gesù, giunge nella festa di un santo, Camillo, che insieme a San Giovanni di Dio è stato proclamato dai papi Leone XIII e Pio XI patrono dei malati, degli infermieri e degli ospedali.



Una felice coincidenza — che ci auguriamo e preghiamo sia foriera di un positivo sviluppo della drammatica vicenda del bambino inglese — ancor più significativa se si considera che il giovane San Camillo si recò per farsi curare un’ulcera al piede nell’Ospedale di San Giacomo, detto “degli incurabili”, eretto a Roma in via del Corso 499. Lì giungevano i malati più ripugnanti, i “rifiuti” della società del tempo, che suscitavano ribrezzo e venivano addirittura scaricati all’ingresso dell’edificio. Dopo la guarigione, Camillo venne assunto come inserviente dei malati nello stesso nosocomio romano. Lavorando in quel luogo di sofferenza, egli si rese conto, per la prima volta, che non esistono malati “incurabili”, anche se allora quelli “inguaribili” erano numerosissimi, molti di più di quanti siano oggi — nell’era della medicina scientifica e biotecnologica — quelli per i quali, come nel caso di Charlie e di altri pazienti affetti da malattie genetiche rare, non esiste ancora una terapia di provata efficacia. San Camillo intuì che si può e si deve sempre prendersi cura di ogni ammalato, fino all’ultimo istante della sua vita, indipendentemente dal fatto che sia possibile procurargli la remissione della malattia, la scomparsa dei sintomi o la riabilitazione fisica.



Una decisione finalmente saggia, quella del giudice britannico di affidare ad un esperto esterno al Great Ormond Street Hospital una valutazione “tecnica” (scientifica e clinica), di certo presa sotto l’incalzante pressione dei tenaci genitori di Charlie ed i potenti fari della pubblica opinione e dei media del Regno Unito e di ogni parte del mondo che si sono mobilitati come mai prima d’ora in simili casi. Un pronunciamento molto opportuno, anche se tardivo. La pratica di acquisire una “medical second opinion“, un parere indipendente di un collega che gode di stima condivisa tra gli specialisti, è una procedura da tempo diffusa nella medicina anglosassone in casi clinicamente complessi o rari, e riprende la consuetudine del “consulto di un luminare” al letto del paziente, introdotta da oltre un secolo nel percorso diagnostico, terapeutico e prognostico della medicina italiana e di altri Paesi europei. Essa riflette la profonda umiltà che rende un medico veramente grande, professionalmente maturo e pienamente responsabile verso la vita dei suoi pazienti: quella per la quale vi è sempre qualcosa da imparare da chi possiede una maggiore conoscenza su una specifica patologia e un’ampia esperienza con i malati da essa affetti, guadagnata attraverso una casistica più consistente di quella di altri colleghi.



Questo processo di acquisizione di un parere autorevole è indispensabile nei casi di pazienti affetti da malattie rare, ridottissimi in una popolazione e spesso anche nel mondo intero, dei quali si sono occupati solo alcuni medici e ricercatori in uno o pochi centri. Se è vero che la rapida diffusione della letteratura scientifica e medica, oggi accessibile in formato elettronico pressoché ovunque attraverso siti web dedicati, rende disponibile in tempo reale una gran quantità di informazioni clinicamente utili, gli articoli e le reviews non possono sostituire il confronto personale e la discussione puntuale del quadro nosologico, della coorte sintomatologica e della risposta ai trattamenti fatte vis-à-vis. La possibilità di utilizzare modalità a distanza, quali le videoconferenze, attualmente facilità la praticabilità e convenienza di una concertazione delle competenze altamente specialistiche e delle esperienze pressoché uniche che sono richieste per affrontare con il migliore protocollo diagnostico e assistenziale possibile (terapeutico o curativo) possibile il caso di un paziente affetto da una malattia rara, ereditaria oppure acquisita. 

Sarebbe stato davvero auspicabile che la decisione di avvalersi una “medical second opinion” sul protocollo terapeutico sperimentale proposto per cercare di arrestare la degenerazione patologica (in particolare neurologica e muscolare) conseguente alla forma di sindrome da deplezione da Dna mitocondriale dovuta a un difetto del gene RRM2B presente nelle cellule di Charlie fosse stata presa già diversi mesi fa, non appena concluso l’iter diagnostico molecolare e quando si erano già manifestati in lui i primi segni e sintomi della malattia, coinvolgendo i diversi centri, ricercatori e medici che nel mondo possiedono una documentata esperienza in questo difetto genetico del metabolismo ossidativo. Il Great Ormond Street Hospital di Londra è una prestigiosa istituzione sanitaria britannica che può giustamente vantare una lunga esperienza di eccellenza internazionale nella diagnosi e cura di numerose patologie genetiche di interesse neonatale e pediatrico, ed è centro di riferimento per alcune di esse, accogliendo piccoli pazienti non solo del Regno Unito, ma anche di altri Paesi, inclusa l’Italia.

Tuttavia, i medici e gli studiosi di questo ottimo nosocomio e centro di ricerca — come risulta dalle loro pubblicazioni indicizzate su PubMed — non avevano mai affrontato in precedenza casi di bambini con la identica forma di sindrome da deplezione da Dna mitocondriale di cui è affetto il piccolo Charlie (legata al RRM2B), né con la forma che a lei è più biochimicamente e clinicamente simile ma generalmente meno grave (anch’essa rara), quella dovuta ad un difetto nel gene TK2 che codifica per la proteina timidina chinasi 2. Quest’ultima forma è quella per la quale è stata messa a punto la terapia desossiribonucleosidica richiesta dai genitori anche per Charlie. 

Il coinvolgimento conoscitivo e decisionale di clinici specificamente esperti di altri centri internazionali, con il coordinamento o l’arbitrato affidato ad un consulente autorevole quale quello proposto ieri dal giudice Francis, in un tavolo di lavoro presso l’ospedale londinese alla presenza dei genitori o di un rappresentante di loro fiducia, avrebbe verosimilmente contribuito a costruire un clima di fiducia reciproca tra questi ultimi ed i medici e all’assunzione di decisioni condivise circa l’impiego o meno della terapia sperimentale proposta, evitando il ricorso in sede giudiziale (in questo caso inadeguato, perché incapace di vera soluzione) e il trascorrere di mesi preziosi per un trattamento appropriato del bambino. Il suo quadro clinico è andato così progressivamente deteriorandosi, riducendo le possibilità di efficacia di qualunque intervento terapeutico. Si tratta, evidentemente, di una argomentazione a posteriori, con tutte le riserve che si possono avere circa il “senno di poi”. Ma può suggerire una condotta differente in circostanze simili che si potranno presentare in futuro.

Ma chi è il dottor Michio Hirano che il giudice della High Court ha convocato a Londra perché studi il caso del piccolo Charlie, con la collaborazione dei suoi attuali medici curanti e gli esperti che hanno firmato il protocollo pervenuto dal Bambino Gesù, e presenti una perizia sulla terapia proposta, il trattamento con desossiribonucleosidi? 

Professore di neurologia nel Columbia University Medical Center di New York, dove si è specializzato in genetica neuromuscolare sotto la guida dell’italiano professor Salvatore DiMauro (con il quale collabora tuttora), Hirano ha studiato in precedenza nella Harvard University e si è laureato in medicina all’Albert Einstein College of Medicine. Attualmente, nella sua università, è direttore del Centro di ricerca clinica “Houston Merritt” e della Divisione di malattie neuromuscolari, e direttore medico del Laboratorio di genetica molecolare e di malattie metaboliche e mitocondriali. Hirano è uno dei massimi esperti nella diagnosi molecolare e nella ricerca sulle terapie per le malattie mitocondriali e le sue lectures sono apprezzatissime nei convegni che vedono periodicamente radunata la comunità internazionale di quanti si occupano di malattie genetiche neurometaboliche. Uomo dal carattere cordiale e amichevole, è sempre disponibile e rapido nella corrispondenza e nell’accoglienza di proposte robuste e innovative di collaborazione scientifica e clinica, da qualunque parte del mondo provengano. Grande è anche la sua attenzione umana verso i piccoli pazienti e le loro famiglie e profonda la sua gratitudine verso le associazioni di malati affetti da mitocondriopatie che rendono possibili le sue ricerche con la disponibilità dei pazienti e le donazioni finanziarie.  

Tra le numerose pubblicazioni scientifiche di Hirano vi è anche un articolo apparso nel 2014 sulla rivista EMBO Molecular Medicine — firmato insieme a ricercatori statunitensi, italiani e spagnoli — nel quale descrive la “terapia di bypass con desossiribonucleosidi” quale approccio sperimentale innovativo per il trattamento delle sindrome da deplezione di Dna mitocondriale dovuta ad un difetto del gene TK2, lo stesso approccio metabolico invocato per il bambino Charlie, le cui mutazioni sono state però riscontrate nel gene RRM2B. Il razionale della somministrazione del metabolita deficitario nelle cellule di entrambe le forme di mitocondriopatia risulta però essere identico. Resta da verificare se nei pazienti come Charlie i desossiribonucleosidi riescano ad attraversare efficacemente la barriera ematoencefalica e ad entrare nei neuroni e nelle cellule gliali per correggere metabolicamente il difetto mitocondriale in essi presente.

Il dottor Hirano sembra essere la persona con le doti scientifiche e l’esperienza clinica che lo rendono idoneo a tentare di sciogliere il complesso nodo del contenzioso terapeutico che oppone da mesi i genitori di Charlie ai medici del Gosh e che il procedimento giudiziario non è sinora stato in grado di affrontare adeguatamente, tenendo conto di tutti i soggetti, i fattori e le circostanze in gioco. In primis, il bene della vita di un bambino di 11 mesi. Auspichiamo e preghiamo che così sia.